mercoledì 16 gennaio 2013

Umberto Saba



Umberto Saba, pseudonimo di Umberto Poli (Trieste, 9 marzo 1883 – Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta, scrittore e aforista italiano. Umberto Saba nacque il 9 marzo 1883 a Trieste - allora parte dell'Impero austro-ungarico - da madre ebrea, Felicita Rachele Cohen e da Ugo Edoardo Poli, di nobile famiglia veneziana e agente di commercio. Quando nacque Umberto, Felicita era già stata abbandonata dal marito, un giovane «gaio e leggero», insofferente dei legami familiari.
Visse una malinconica infanzia, velata dalla mancanza del padre. Venne allevato per tre anni dalla balia slovena Peppa Sabaz, definita «madre di gioia». Sarà in suo onore, e in onore delle radici ebraiche materne, che il poeta sceglierà lo pseudonimo di Saba. Quando la madre lo rivolle con sé, il poeta ebbe il suo primo trauma. Crescerà quindi con la madre e due zie, una vedova e l'altra nubile, impegnate nella conduzione di una bottega di mobili ed oggetti usati.
Nel 1903 si trasferì a Pisa per frequentare l'università.
Nell'estate del 1904, a causa di un litigio con l'amico Chiesa, cadde in forte depressione e decise di ritornare a Trieste.
In seguito lasciò Trieste per recarsi a Firenze.
Essendo cittadino italiano, pur abitando nell'Impero austro-ungarico, nell'aprile del 1907 partì per il servizio militare destinato a Salerno. Nasceranno da questa esperienza i Versi militari.
Nel maggio 1913 il poeta si trasferì con la famiglia dapprima a Bologna.
 Nel periodo della prima guerra mondiale si dedica alla lettura di Nietzsche e si assiste a un riacutizzarsi delle crisi psicologiche, per le quali, nel 1918, verrà ricoverato nell'ospedale militare di Milano.
Terminata la guerra e ritornato a Trieste, dopo aver fatto per parecchi mesi il direttore di un cinematografo del quale era proprietario suo cognato e scritto alcuni testi pubblicitari per la Leoni Films, rilevò la libreria antiquaria Mayländer. Fra il 1929 e il 1931, a causa di una crisi nervosa più intensa delle altre, decise di mettersi in analisi a Trieste con il dottor Edoardo Weiss, lo stesso di Italo Svevo. Fu Weiss, allievo di Freud, che con la Rivista italiana di psicoanalisi introdusse in Italia gli studi del medico viennese. Con lo psicanalista, Saba indagò la sua infanzia, e rivalutò il ruolo della sua nutrice.
Nel 1938, poco prima del secondo conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali, fu costretto a cedere formalmente la libreria al commesso Carlo Cerne e ad emigrare in Francia, a Parigi. Ritornato in Italia alla fine del 1939, si rifugia prima a Roma, dove Ungaretti cerca di aiutarlo, ma senza risultato, e poi nuovamente a Trieste, deciso ad affrontare con gli altri italiani la tragedia nazionale.
Dopo l'8 settembre 1943 fu però costretto a fuggire con Lina e la figlia Linuccia, e a nascondersi a Firenze, cambiando spesso appartamento. Gli sarà di conforto l'amicizia di Montale che, a rischio della vita, andrà a trovarlo ogni giorno nelle case provvisorie, e quella di Carlo Levi.
Negli anni del dopoguerra Saba visse per nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci anni, tornando periodicamente a Trieste. Nel 1955, stanco e malato, e sconvolto per la malattia della moglie, si fece ricoverare in una clinica di Gorizia, dalla quale uscì solo in occasione del funerale della moglie, mancata il 25 novembre 1956. Saba muore nove mesi dopo, il 25 agosto 1957.
Pur essendo considerato tra i maggiori poeti del Novecento, Saba è molto difficilmente classificabile all'interno di correnti letterarie. Lo stile "umile" che lo caratterizza, l'amore conflittuale per la propria città, l'autobiografismo sincero, il senso della quotidianità, sono però caratteristiche a lui generalmente riconosciute, insieme a un tono profondamente malinconico.
Paziente di Edoardo Weiss, e talvolta fortemente oppresso da sofferenze psichiche, a livello critico è indicato un suo senso tormentato di fragilità interiore, all'interno però di un "registro colloquiale" che comunque appartiene anche alla tradizione della letteratura italiana.
La poesia di Saba è semplice e chiara. Nella forma adopera le parole dell'uso quotidiano e nei temi ritrae gli aspetti della vita quotidiana, anche i più umili e dimessi: luoghi, persone, paesaggi, animali, avvenimenti, Trieste con le sue strade, le partite di calcio ecc. I temi della sua poesia sono Trieste, la città natale, il mare come simbolo di fuga e di avventure spirituali, gli affetti personali e familiari (principalmente Lina, la moglie, e Linuccia, la figlia), le memorie dell'infanzia, il rapporto con la natura e le riflessioni sull'attualità.
Il Canzoniere è progettato secondo il disegno di un itinerario poetico che segue fedelmente quello della vita dell'autore: «E il libro, nato dalla vita, dal "romanzo" della vita era esso stesso, approssimativamente, un piccolo romanzo. Bastava lasciare alle poesie il loro ordine cronologico; non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e trasfigurarsi in poesia della vita». Sono parole di Saba.
Il Canzoniere come si presenta nella sua versione definitiva del 1961 appare diviso in tre parti, che si rifanno all’idea di una scansione cronologica, riferendosi alla giovinezza, alla maturità e alla vecchiaia dell’autore. Ogni sezione del Canzoniere può essere considerata come un’opera compiuta in se stessa.

A mia moglie

Saba compose questa lirica nel 1911 e la giudicò fin da subito la propria poesia più bella. In essa l'amore per la moglie Lina si esprime in modo davvero insolito, attraverso una serie di paragoni con le femmine di alcuni animali: la gallina, la giovenca, la cagna, la coniglia, la rondine, la formica, l'ape. La stessa moglie del poeta in un primo tempo si sentì quasi offesa di tali accostamenti; in realtà il componimento è pervaso da un sentimento di intensa tenerezza e dolcezza, accentuate entrambe da un tono apparentemente ingenuo, quasi infantile. Il poeta guarda al mondo della natura nei suoi aspetti quotidiani con occhi semplici, avvertendo in essa le migliori qualità e la condizione di maggiore vicinanza a Dio.

Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.

Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.

Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.

Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un'altra primavera.

Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.

La struttura

La poesia è scandita sul ritmo delle sei strofe: le prime cinque svolgono ciascuna un paragone tra la moglie del poeta e una femmina di animale, mentre l'ultima strofa contiene il riferimento a due animali, la formica e l'ape. La struttura del componimento è circolare, poiché la chiusa riprende i versi della prima strofa: evidentemente è a questi versi che il poeta affida il cuore del proprio messaggio.
Le strofe si snodano attraverso una serie di parallelismi. A questi parallelismi si susseguono molteplici similitudini.

L'andamento della poesia dà alla stessa una cadenza da inno religioso. Il collegamento al divino è esplicitato nella prima e ultima strofa, quelle più impresse di significato dal poeta, dove Saba canta la moglie come creatura capace di avvicinare a Dio, cioè all'essenza e all'origine stessa della vita. La donna è il tramite fra l'uomo e Dio e capace di elevare l'anima dell'uomo che la ama.

Lina, moglie di Saba, ha pertanto il portamento eretto e superbo della gallina, e il vento le arruffa i capelli come le piume alla gallina; quando si lamenta, la sua soave e triste voce si avvicina al chiocciare nei pollai. Il paragone con la giovenca allude invece alla sua componente materna, lieta e festosa, affettuosa e nello stesso tempo un po' triste. Della cagna Lina ha la devozione incondizionata, un amore tenace per il suo uomo, che, però, la rende gelosa di chi lo avvicina. Come la coniglia, Lina si allieta degli atti di gentilezza e di cura a lei rivolti, mentre si chiude in se stessa se è abbandonata; appare quasi indifesa, con la sua generosità totale, mite e inerme, pari a quella della coniglia. La moglie è colei che, come la rondine, fa tornare la primavera nella vita triste e vecchia del poeta; ma diversamente dall'uccello migratore, ella non abbandona la casa, poiché è fedele. E' inoltre previdente come la formica e laboriosa e instancabile come l'ape.

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