Umberto Saba, pseudonimo di Umberto
Poli (Trieste, 9 marzo 1883 –
Gorizia, 25 agosto 1957), è stato un poeta, scrittore e aforista italiano.
Umberto Saba nacque il 9 marzo 1883 a Trieste - allora parte dell'Impero
austro-ungarico - da madre ebrea, Felicita Rachele Cohen e da Ugo Edoardo Poli,
di nobile famiglia veneziana e agente di commercio. Quando nacque Umberto,
Felicita era già stata abbandonata dal marito, un giovane «gaio e leggero»,
insofferente dei legami familiari.
Visse una malinconica infanzia,
velata dalla mancanza del padre. Venne allevato per tre anni dalla balia
slovena Peppa Sabaz, definita «madre di gioia». Sarà in suo onore, e in onore
delle radici ebraiche materne, che il poeta sceglierà lo pseudonimo di Saba.
Quando la madre lo rivolle con sé, il poeta ebbe il suo primo trauma. Crescerà
quindi con la madre e due zie, una vedova e l'altra nubile, impegnate nella
conduzione di una bottega di mobili ed oggetti usati.
Nel 1903 si trasferì a Pisa per frequentare l'università.
Nell'estate del 1904, a causa di un
litigio con l'amico Chiesa, cadde in forte depressione e decise di ritornare a Trieste.
In seguito lasciò Trieste per
recarsi a Firenze.
Essendo cittadino italiano, pur
abitando nell'Impero austro-ungarico, nell'aprile del 1907 partì per il
servizio militare destinato a Salerno.
Nasceranno da questa esperienza i Versi
militari.
Nel maggio 1913 il poeta si
trasferì con la famiglia dapprima a Bologna.
Nel periodo della prima
guerra mondiale si dedica alla lettura di Nietzsche e si assiste a un
riacutizzarsi delle crisi psicologiche, per le quali, nel 1918, verrà
ricoverato nell'ospedale militare di Milano.
Terminata la guerra e ritornato a Trieste, dopo aver fatto per parecchi
mesi il direttore di un cinematografo del quale era proprietario suo cognato e
scritto alcuni testi pubblicitari per la Leoni Films, rilevò la libreria
antiquaria Mayländer. Fra il 1929 e il 1931, a causa di una crisi nervosa più
intensa delle altre, decise di mettersi in analisi a Trieste con il dottor
Edoardo Weiss, lo stesso di Italo Svevo. Fu Weiss, allievo di Freud, che con la
Rivista italiana di psicoanalisi introdusse in Italia gli studi del medico
viennese. Con lo psicanalista, Saba indagò la sua infanzia, e rivalutò il ruolo
della sua nutrice.
Nel 1938, poco prima del secondo
conflitto mondiale, a causa delle leggi razziali, fu costretto a cedere
formalmente la libreria al commesso Carlo Cerne e ad emigrare in Francia, a Parigi. Ritornato in Italia alla fine
del 1939, si rifugia prima a Roma,
dove Ungaretti cerca di aiutarlo, ma senza risultato, e poi nuovamente a Trieste, deciso ad affrontare con gli
altri italiani la tragedia nazionale.
Dopo l'8 settembre 1943 fu però
costretto a fuggire con Lina e la figlia Linuccia, e a nascondersi a Firenze, cambiando spesso appartamento.
Gli sarà di conforto l'amicizia di Montale che, a rischio della vita, andrà a
trovarlo ogni giorno nelle case provvisorie, e quella di Carlo Levi.
Negli anni del dopoguerra Saba
visse per nove mesi a Roma e poi a Milano dove rimase per circa dieci
anni, tornando periodicamente a Trieste. Nel 1955, stanco e malato, e sconvolto
per la malattia della moglie, si fece ricoverare in una clinica di Gorizia, dalla quale uscì solo in
occasione del funerale della moglie, mancata il 25 novembre 1956. Saba muore
nove mesi dopo, il 25 agosto 1957.
Pur essendo considerato tra i
maggiori poeti del Novecento, Saba è molto difficilmente classificabile
all'interno di correnti letterarie. Lo stile "umile" che lo
caratterizza, l'amore conflittuale per la propria città, l'autobiografismo
sincero, il senso della quotidianità, sono però caratteristiche a lui
generalmente riconosciute, insieme a un tono profondamente malinconico.
Paziente di Edoardo Weiss, e
talvolta fortemente oppresso da sofferenze psichiche, a livello critico è
indicato un suo senso tormentato di fragilità interiore, all'interno però di un
"registro colloquiale" che comunque appartiene anche alla tradizione
della letteratura italiana.
La poesia di Saba è semplice e
chiara. Nella forma adopera le parole dell'uso quotidiano e nei temi ritrae gli
aspetti della vita quotidiana, anche i più umili e dimessi: luoghi, persone,
paesaggi, animali, avvenimenti, Trieste con le sue strade, le partite di calcio
ecc. I temi della sua poesia sono Trieste, la città natale, il mare come
simbolo di fuga e di avventure spirituali, gli affetti personali e familiari
(principalmente Lina, la moglie, e Linuccia, la figlia), le memorie
dell'infanzia, il rapporto con la natura e le riflessioni sull'attualità.
Il Canzoniere è progettato secondo il disegno di un itinerario poetico
che segue fedelmente quello della vita dell'autore: «E il libro, nato dalla
vita, dal "romanzo" della vita era esso stesso, approssimativamente,
un piccolo romanzo. Bastava lasciare alle poesie il loro ordine cronologico;
non disturbare, con importune trasposizioni, lo spontaneo fluire e
trasfigurarsi in poesia della vita». Sono parole di Saba.
Il Canzoniere come si presenta
nella sua versione definitiva del 1961 appare diviso in tre parti, che si
rifanno all’idea di una scansione cronologica, riferendosi alla giovinezza,
alla maturità e alla vecchiaia dell’autore. Ogni sezione del Canzoniere può
essere considerata come un’opera compiuta in se stessa.
A mia moglie
Saba compose questa
lirica nel 1911 e la giudicò fin da subito la propria poesia più bella. In essa
l'amore per la moglie Lina si esprime in modo davvero insolito, attraverso una
serie di paragoni con le femmine di alcuni animali: la gallina, la giovenca, la
cagna, la coniglia, la rondine, la formica, l'ape. La stessa moglie del poeta
in un primo tempo si sentì quasi offesa di tali accostamenti; in realtà il
componimento è pervaso da un sentimento di intensa tenerezza e dolcezza,
accentuate entrambe da un tono apparentemente ingenuo, quasi infantile. Il
poeta guarda al mondo della natura nei suoi aspetti quotidiani con occhi
semplici, avvertendo in essa le migliori qualità e la condizione di maggiore
vicinanza a Dio.
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio,
Così, se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue
uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi
mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
se l'incontri e muggire
l'odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l'erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l'angusta
gabbia ritta al vederti
s'alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva ed
era
vecchio, annunciavi un'altra
primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l'accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun'altra donna.
La struttura
La poesia è scandita
sul ritmo delle sei strofe: le prime cinque svolgono ciascuna un
paragone tra la moglie del poeta e una femmina di animale, mentre l'ultima
strofa contiene il riferimento a due animali, la formica e l'ape. La struttura
del componimento è circolare, poiché la chiusa riprende i versi della
prima strofa: evidentemente è a questi versi che il poeta affida il cuore del
proprio messaggio.
Le strofe si snodano
attraverso una serie di parallelismi. A questi parallelismi si susseguono
molteplici similitudini.
L'andamento della
poesia dà alla stessa una cadenza da inno religioso. Il collegamento al divino
è esplicitato nella prima e ultima strofa, quelle più impresse di significato
dal poeta, dove Saba canta la moglie come creatura capace di avvicinare a Dio,
cioè all'essenza e all'origine stessa della vita. La donna è il tramite fra
l'uomo e Dio e capace di elevare l'anima dell'uomo che la ama.
Lina, moglie di Saba,
ha pertanto il portamento eretto e superbo della gallina, e il vento le arruffa
i capelli come le piume alla gallina; quando si lamenta, la sua soave e triste
voce si avvicina al chiocciare nei pollai. Il paragone con la giovenca allude
invece alla sua componente materna, lieta e festosa, affettuosa e nello stesso
tempo un po' triste. Della cagna Lina ha la devozione incondizionata, un amore
tenace per il suo uomo, che, però, la rende gelosa di chi lo avvicina. Come la
coniglia, Lina si allieta degli atti di gentilezza e di cura a lei rivolti,
mentre si chiude in se stessa se è abbandonata; appare quasi indifesa, con la
sua generosità totale, mite e inerme, pari a quella della coniglia. La moglie è
colei che, come la rondine, fa tornare la primavera nella vita triste e vecchia
del poeta; ma diversamente dall'uccello migratore, ella non abbandona la casa, poiché
è fedele. E' inoltre previdente come la formica e laboriosa e instancabile come
l'ape.
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