Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.
Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà.
Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo.
Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere. Nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese. La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante — ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee — una novità "barbarica", eccitante e trasgressiva.
D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia", "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità. Nel 1883 sposò Maria Hardouin. Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni. Esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici.
Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Tale romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugura una nuova prosa introspettiva e psicologica che rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti.
Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.
Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli. Nel 1892 cominciò una relazione epistolare con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Si conobbero personalmente nel 1894 e subito scattò l'amore.
Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Firenze. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese.
La relazione con Eleonora Duse si incrinò nel 1904, dopo il tradimento con Alessandra di Rudiní e la pubblicazione del romanzo Il fuoco, in cui il poeta aveva descritto impietosamente la loro relazione. In quell'epoca la vita dispendiosa condotta dal Vate lo portò a sperperare le cospicue somme percepite per le proprie pubblicazioni, che divennero comunque insufficienti a coprire le spese prodottesi.
Nel 1910 D'Annunzio si trasferì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e per evitare i creditori aveva preferito allontanarsi dal proprio Paese.
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente una intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamandosi alla figura di Giuseppe Garibaldi.
Nel settembre 1915 partecipò a un'incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell'Isonzo. Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d'emergenza, nell'urto contro la mitragliatrice dell'aereo riportò una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare destra. La ferita non curata per un mese provocò la perdita dell'occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. In quei mesi compose il Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato.
Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra.
Nell'immediato primo dopoguerra D'Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata". La stessa onda di malcontento trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.
Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.
Deluso dall'epilogo dell'esperienza di Fiume, nel febbraio 1921 si ritirò in un'esistenza solitaria nella villa di Cargnacco (comune di Gardone Riviera) che pochi mesi più tardi acquistò. Ribattezzata il Vittoriale degli italiani fu ampliata e successivamente aperta al pubblico. Qui lavorò e visse fino alla morte, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale.
Il rapporto con il fascismo fu complesso e articolato, benché sostanzialmente organico: i fascisti in ascesa celebrarono D'Annunzio, appropriandosi di motti e simboli del Vate. Lo scrittore, a parte l'adesione iniziale ai Fasci di combattimento, non volle mai prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista, probabilmente per mantenere la sua completa autonomia.
D'Annunzio, nella sua vastissima opera, ha avuto almeno due meriti: sul piano culturale, si è avvicinato di volta in volta ad autori ed atteggiamenti del decadentismo europeo contribuendo a diffonderne la conoscenza in Italia e a sprovincializzare la nostra cultura. Sul piano più intimamente poetico, accanto all'esteriorità di molti atteggiamenti esibizionistici, ha saputo cogliere ed esprimere la comunione dei sensi e dell'anima con la molteplicità della vita naturale, creando quella dimensione "panica", di immedesimazione quasi fisica e sensuale basata sulle immediate sensazioni che segnano il nascere di un atteggiamento nuovo per la nostra poesia.
Per esprimere questo atteggiamento raffinato e sensuale D'Annunzio si è servito di un linguaggio ostentatamente insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci arcaiche e sull'invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare. Ha creato così un "culto della parola", ricercata soprattutto per clamorose risonanze musicali, che spesso era solo espediente retorico, ma che sapeva anche diventare talora esperienza linguistica originale e contribuiva ad avviare il nuovo linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive.
Canto novo
Raccolta di liriche pubblicata nel 1882. La natura è rappresentata nel suo tripudio di luci, colori, odori e con essa il giovane poeta stabilisce un "rapporto di tipo solare" proteso al godimento e alla fusione con essa.
Il piacere
Il romanzo d’esordio di D'Annunzio, pubblicato nel 1889, è il primo della lunga serie di prose che testimoniano in forma esemplare in quale modo l'autore costruisce e precisa la propria ideologia. Rispetto alla tradizione narrativa italiana l’opera ha caratteristiche assai nuove. D’Annunzio conserva, dell’impianto verista, la volontà di dipingere un affresco sociale e di costume, all’interno del quale indugia a descrivere l’ambiente moralmente malato, corrotto e ozioso dell’aristocrazia. Ma l’influenza delle nuove tendenze culturali europee incide fortemente sullo scrittore, spingendolo verso la costruzione di un romanzo in cui gli eventi esterni lasciano spazio all’analisi minuziosa delle psicologie e l’intreccio perde spessore rispetto all’indagine dei tortuosi meccanismi interiori dei personaggi, sui quali l’autore si sofferma con attenzione, rifacendosi in particolare al modello proposto da Paul Bourget, caposcuola del romanzo psicologico.
La vicenda, ambientata a Roma, ha per protagonista Andrea Sperelli, ultimo rampollo di una nobile famiglia, un esteta il cui principio-guida è, secondo l’ideale dello stesso D’Annunzio, quello di “fare” la vita come si fa un’opera d’arte. Il giovane trascorre il tempo lontano dal “grigiore” della quotidianità, circondandosi di cose raffinate e lussuose, immerso in attività fuori del comune. La sua esistenza viene però turbata dall’abbandono dell’amante, la bella e misteriosa Elena Muti, che Andrea, nonostante le numerose avventure frivole, non riesce né a sostituire né a dimenticare. Ferito in duello, durante la convalescenza, si innamora, riamato, di Maria Ferres, una giovane molto spirituale. Ben presto però il rapporto si complica per la somiglianza fra le due donne: Andrea, sempre più tormentato dal ricordo di Elena, ricerca con la nuova amante le sensazioni provate con l’altra e quando, durante una notte d’amore, si rivolge a Maria chiamandola inconsapevolmente Elena, la donna inorridita capisce la verità e lo lascia.
I motivi di fondo del Piacere presentano forti affinità con quelli del romanzo più rappresentativo del Decadentismo europeo di quegli anni, À rebours, di Huysmans.
Andrea Sperelli è totalmente votato alla ricerca estetica, al pieno godimento delle più raffinate sensazioni, e, come lui, destinato alla sconfitta. Compare qui, in maniera estremamente esplicita, quel motivo che la critica ha indicato fra quelli fondamentali della personalità dannunziana, il velleitarismo, ovvero la frattura tra il desiderio di affermazione del proprio io e la costante percezione dell’impossibilità di ottenerla. In questo senso, Il piacere anticipa le posizioni che D’Annunzio verrà precisando nei romanzi successivi.
Ma è indispensabile ricordare ancora una volta che quest’opera testimonia l’eccezionale capacità dello scrittore nel captare e assimilare le espressioni della più recente cultura d’oltralpe, e si propone, proprio per questo, come il primo contributo italiano alla definizione europea dell’eroe decadente che assumerà, in Inghilterra, le splendide e ambigue fattezze di Dorian Gray.
L'Innocente
Romanzo pubblicato nel 1892, che non tiene nascosti gli influssi della lettura del russo Dostoevskij. È una narrazione in prima persona ed è incentrato sulle vicende del "multanime" Tullio Hermil e della moglie Giuliana.
A lei, malata, Tullio si dedica in modo particolare con una sorta di volontaristica pratica di "bontà", malgrado sia attratto e legato all'amante Teresa Raffo. Ma proprio quando si libera da questo legame, crede di scoprire gli indizi di una relazione della moglie con lo scrittore Filippo Arborio. Indizi poi confermati dalla notizia che Giuliana è incinta. Nei due coniugi spunta un progetto delittuoso: sopprimere il nascituro, testimonianza di una fugace colpa, ostacolo alla realizzazione del loro "sublime" amore. È Tullio che, esponendo al freddo invernale il bambino, l'"innocente", compie il delitto.
Trionfo della morte
Romanzo del 1894, terzo del "Ciclo della rosa". L'opera, articolata in sei "libri", ha una struttura narrativa debole. È incentrata sul rapporto contraddittorio e ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio e su questo tema di fondo si innestano o si sovrappongono altri motivi e argomenti.
Giorgio, in una confusa contaminazione tra superomismo e velleità mistiche, aspira a realizzare una vita nuova, una perfezione di vita spirituale che si fondi sull'autodominio e sull'autosufficienza, e vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo.
Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi
L'opera poetica più notevole e famosa. Doveva essere di cinque libri, quante sono le Pleiadi, invece è solo di quattro.
Il primo libro, Maia, è composto nel 1903 e il sottotitolo (Laus vitae) ne chiarisce i motivi ispiratori: una vitalistica celebrazione dell'energia vitale, un naturalismo pagano impreziosito o sopraffatto dai riferimenti classici e mitologici.
Il secondo libro, Elettra, composto tra il 1899 e il 1902, celebra gli eroi della patria e dell'arte; nella terza parte sono cantate 25 "città del silenzio" e nella quarta parte si trova il famoso Canto augurale per la Nazione eletta che infiammò di entusiasmo i nazionalisti italiani.
Il terzo libro, Alcyone, pubblicato con il primo, contiene il meglio di D'Annunzio come poeta.
Il quarto libro, Merope, raccoglie canti celebrativi della conquista della Libia.
Alcyone
L’opera è divisibile in cinque sezioni, riguardanti diversi periodi stagionali con conseguenti diversi stati d’animo dell’autore. Ogni sezione, a partire dalla seconda, è preceduta da un ditirambo che ne annuncia il tema dominante. Dal rigore della struttura si intravede la volontà dell’autore di fonder la lirica moderna con l’eleganza classica.
Prima sezione: è ambientato nel paesaggio agreste compreso tra Fiesole e Firenze, nel mese di giugno, i sette testi costituiscono lodi a paesaggi, piante e luoghi nella suggestione dell’estate che arriva.
Seconda sezione: l’ambientazione viene spostata, dopo il primo ditirambo, in Versilia dove si svolgerà anche la successiva vicenda dell’opera. Adesso l’estate è esplosa e viene quindi celebrata la fusione panica tra l’uomo e l’elemento naturale.
Terza sezione: anche in questa sezione l’ambientazione è estiva. D’Annunzio attua il primo tentativo di dare solidità all’esperienza individuale attraverso il ricorso al mito classico, riattualizzato in chiave esistenziale, quale affermazione del potere panico del superuomo.
Quarta sezione: si contano ventisei testi segnati dal termine dell’estate e dai primi presagi autunnali. Al tramonto dell’estate è corrisposto quello del mito, rappresentato sempre più quale ricchezza irrimediabilmente perduta.
Quinta sezione: siamo ormai a settembre, al sentimento del ripiegamento e della perdita si aggiunge quella della fine dell’estate e dell’impossibilità di resuscitare il mito nella società moderna.
Alcyone è l’opera in cui il simbolismo dannunziano raggiunge il suo culmine, tuttavia i temi trattati sono pochi ma ripetuti e rivisti da diverse prospettive. Si possono ricavare tre costanti tematiche:
- scambio tra naturale ed umano: l’eccezionalità del superuomo, sta, al cospetto della massa, nel rendersi fortemente superiore ad essa, ma al cospetto della natura la capacità del superuomo è quella di riuscire a confondersi con essa, di perdere la propria identità ed assumere la stessa prospettiva del mondo naturale, per capirne il mistero e svelarne le leggi;
- riattualizzazione del mito: perché la natura possa assolvere tale funzione, è necessario restituirle la vitalità e l’armonia negatele dal mondo moderno, attraverso il recupero del mito. D’Annunzio recupera i miti della tradizione classica e, contemporaneamente, rappresentando la propria vicenda di immersione naturale in termini mitici, riesce a crearne di nuovi;
- esaltazione della parola, dell’arte e della figura del poeta: la parola poetica è il mezzo attraverso il quale si stabilisce quel contatto tra autenticità interiore e mondo naturale. Da qui scaturisce la sua esaltazione e l’esaltazione dell’arte e della figura del poeta, rappresentato come un vate.
Notturno
Raccolta di meditazioni e ricordi, in forma di prosa lirica, redatta nel 1916 durante il periodo di immobilità e di cecità. L’opera è caratterizzata da un momento di intimità e di ripiegamento su sé stesso.
Il ciclo dei romanzi
Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse, giacché i protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
I romanzi della rosa, fiore simbolo della voluttà, della passione invincibile, sono: Il Piacere (1889), L'innocente (1892) e Il trionfo della morte (1894).
I romanzi del giglio, fiore simbolo del superuomo e della passione che si purifica, dovevano ispirarsi al superuomo di Nietzsche.
Il superuomo non è più schiavo delle passioni ma si serve di esse per realizzare pienamente la propria volontà di potenza. In verità Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, in grazia delle qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata la quale, per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni.
D'Annunzio ignorò o finse di ignorare il significato profondo del niccianesino e lo adottò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri. Nel superuomo nicciano, così come lo immaginò D'Annunzio, s'intravede piuttosto il profilo dei grandi dittatori sanguinari e deliranti del nostro secolo, col loro macabro seguito di tragedie e di guerre.
Della seconda trilogia, D'Annunzio scrisse solo il primo, Le vergini delle rocce (1896).
Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse (Massimilla, Anatolia, Violante) di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capece-Montaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi, Trigento, "paese di rocce". Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, al quale un giorno il popolo, disgustato della demagogia e dalla corruzione della vita politica, offrirà la corona regale.
Anche dei romanzi del melograno, pomo dai molti granelli, simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni, D'Annunzio scrisse solo il primo, Il fuoco (1900).
Questo romanzo, così intitolato perché inteso come simbolo della creatività dell'artefice, narra, sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Éffrena per la Foscarina. E' un romanzo scopertamente autobiografico, perché vi è adombrata la storia dell'amore del poeta per l'attrice Eleonora Duse.
Stelio è un poeta che sogna una nuova forma di arte drammatica, che risulti dall'intima fusione della parola, del colore, del suono, dell'azione. E' la stessa poetica di Wagner, che del romanzo è un personaggio. La Foscarina dovrebbe essere l'interprete di questo nuovo dramma; ma Stelio s'innamora della giovinetta Donatella Arvale. La Foscarina se ne accorge e ne è gelosa, ma dopo, rassegnata, cede il posto alla rivale e si accomiata da Stelio.
Forse che sì forse che no
Il protagonista Paolo Tarsis realizza la sua volontà eroica tramite le sue imprese di volo. Egli è senza dubbio la reincarnazione dei vari superuomini presenti ne Il Trionfo della Morte o nelle Vergini delle rocce, ma a differenza di questi, non appartiene ad una nobile casata ma è un borghese estraneo agli influssi decadenti e dedito all'azione.
Affiancata a questo superuomo troviamo Isabella Inghirami, la prima figura femminile capace di contendere il primato all'egocentrismo del superuomo di turno. Tra i due personaggi c'è un rapporto di amore-passione che talvolta arriva fino alle degenerazioni dell'incesto e del masochismo.
Questo romanzo rappresenta la piena adesione di D'Annunzio alla contemporaneità: è possibile infatti ritrovare personaggi che si muovono tra aeroplani, automobili, telefoni. Vi si ritrova un amore, quindi, per la macchina e la velocità.
D’Annunzio è considerato l’esponente più emblematico del Decadentismo italiano e l’analisi della sua personalità riguarda, oltre che la storia della letteratura, l’intera storia della cultura di massa, della politica, del costume e della società italiana tra l'Ottocento ed il Novecento. Per un lungo periodo, gli stereotipi da lui creati hanno rappresentato infatti un modello imitato in ogni campo della vita nazionale. In D’Annunzio, vita e letteratura si intersecano e si confondono, creando una figura variegata e ricca di sfumature contraddittorie. E' sempre rimasta costante in lui l'attitudine a trasformare se stesso in personaggio e a far coincidere l’arte con la realtà.
D’Annunzio ha voluto e saputo costruire un vero e proprio modello di vita e ha aperto la sua esistenza alle esperienze più svariate e insolite, costruendo sapientemente un’immagine carismatica di sé, fondata sul prezioso, l’eccentrico, l’inimitabile. In tal modo egli ha rappresentato un punto di riferimento per ampi strati della società, rispondendo alle loro esigenze e appagando le loro inquietudini. Non a caso, la “morale eroica” propugnata dal “personaggio pubblico” D’Annunzio proponeva un’ideologia fondata sulla trasgressione delle regole e su una illimitata affermazione di sé e suggeriva un tipo di comportamento privo di freni morali, percorso da un’accesa componente di piacere estetico, di sensualità e di erotismo. Quell’insieme di princìpi e di modelli di comportamento che D’Annunzio ha elaborato e divulgato con clamore si è tradotto in rapida imitazione non solo delle sue idee, ma addirittura del suo modo di muoversi, di parlare, di vestire, ed ha provocato un vasto fenomeno, noto con il termine di “dannunzianesimo”, che, oltrepassando i confini della letteratura, ha esercitato una consistente influenza sul costume nazionale. Si possono così cominciare a capire i suoi continui “cambiamenti” di ideologie: D’annunzio aderiva agli schieramenti politici che più gli permettevano questo sfruttamento dei meccanismi sociali. E in questo periodo storico il fascismo sembrava, con la sua aderenza popolare, il più adatto a tale scopo.
La poetica di D’annunzio si basa su un’esaltazione del valore della parola e su una completa fusione tra uomo e natura (il famoso panismo), che comporta, nello stile, l’apporto di figure retoriche quali la metafora e la sinestesia. In lui arte e natura tendono a corrispondere. Questo aspetto lo avvicina molto al simbolismo europeo, del quale dà un’interpretazione estremizzante: egli non crede in un arte capace di rivelare un significato universale, ma circoscritto dal particolare.
Le opere superomistiche di D’Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese del nuovo stato unitario, del trionfo dei princìpi democratici ed egualitari, del parlamentarismo e dello spirito affaristico e speculativo che contamina il senso della bellezza e il gusto dell’azione eroica. D’Annunzio arriva quindi a vagheggiare l’affermazione di una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra della massa comune attraverso il culto del bello e la vita attiva ed eroica. Per D’Annunzio devono esister alcune élite che hanno il diritto di affermare se stesse, in sprezzo delle comuni leggi del bene e del male. Queste élite al di sopra della massa devono spingere per una nuova politica dello Stato italiano, una politica di dominio sul mondo, verso nuovi destini imperiali, come quelli dell’antica Roma.
La figura dannunziana del superuomo è, comunque, uno sviluppo di quella precedente dell’esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della bellezza è essenziale per l’elevazione della stirpe, ma l’estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà.