martedì 21 maggio 2013

Ermetismo





Con il termine ermetismo si intende una corrente letteraria del Novecento affermatasi in Italia tra gli anni trenta e quaranta e sviluppatasi nel periodo compreso tra le due guerre mondiali.
La caratteristica più nota dell'ermetismo è la forte riduzione all’essenziale, che abolisce la punteggiatura e propone componimenti poetici notevolmente sintetici e brevi, talvolta di soli due o tre versi.
Pur con mille aspetti e soluzioni diverse, gli ermetici cercano di restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale, scabra, talvolta volutamente oscura al fine di restituire alla parola abusata verginità e novità. Così riscattate le parole tornano a essere specchio della realtà e consentono all’uomo di percepire l’inesprimibile sostanza di quel mondo apparentemente privo di senso che lo circonda.
Strumento tecnico fondamentale per gli ermetici è l’analogia: abolendo il come che introduce il rapporto tra le cose paragonate, l’analogia diventa più sintetica e oscura, ma per questo più efficace.
I poeti ermetici sono accomunati da un male di vivere che, pur essendo diverso nella concreta esperienza di ciascuno, li accomuna tutti nel pessimismo sulle possibilità dell’uomo e persino della stessa poesia. In assenza di certezze da cantare a gola spiegata, gli ermetici rifiutano dunque i moduli espressivi tradizionali sulla base di una precisa scelta etica, dalla quale discendono poi le novità di stile.


Aspetti principali

Ellissi dell’articolo, plurali indeterminati, uso anomalo della preposizione a, libertà nell’uso delle preposizioni, inversione determinato-determinante, sintassi nominale, astratti, latinismi.


L'origine dell'ermetismo 

Il termine deriva da Hèrmes, il Dio greco dai risvolti enigmatici. Sul piano letterario con il termine ermetismo si sottolinea una poesia dal carattere chiuso (ermetico) e volutamente complesso, solitamente ottenuto attraverso un susseguirsi di analogie di difficile interpretazione.
Alla base di questo movimento, che ebbe come modello i grandi del decadentismo francese come Mallarmé, Rimbaud e Verlaine, si trova un gruppo di poeti, chiamati ermetici, che seguirono il modello di Giuseppe Ungaretti, di Salvatore Quasimodo e di Eugenio Montale.


Alessandro Manzoni, opere



Pentecoste

“La Pentecoste”, composta fra il giugno del 1817 ed il settembre del 1822, è l'inno sacro più importante perché riesce a rappresentare in modo completo l'unione dell'aspetto religioso e di quello umano.
Pentecoste significa cinquantesimo giorno dopo la Pasqua quando lo Spirito Santo discende sugli Apostoli.
Segna l’inizio della diffusione del cristianesimo.
Dal punto di vista stilistico-espressivo si articola in tre parti:
  • nella prima (vv. 1-48) si rievoca l’origine della Chiesa, la “Madre de' Santi”. Il primo nucleo della Chiesa vive nascosto e timoroso fino alla discesa dello Spirito Santo. La Chiesa prende forza e coraggio e diventa attiva (la predicazione in più lingue narrata dagli Atti degli Apostoli).
  • La seconda parte (vv. 49-80) è dedicata alla spiegazione dei miracolosi effetti della predicazione apostolica che ha raggiunto tutte le regioni della terra e si è rivolta a tutti gli uomini, ai liberi ed agli schiavi, ai ricchi ed ai poveri, alle spose ed alle vergini, annunciando libertà, amore ed uguaglianza.
  • La terza ed ultima parte (vv. 81-144) è una solenne preghiera allo Spirito Santo perché discenda continuamente, per la salvezza degli uomini.
Il significato globale dell’Inno è che l’umanità, redenta dal Salvatore, non ha tuttavia la forza morale di conservare la Grazia: il corpo è debole e le tentazioni della terra sono tante, perciò occorre che il miracolo della Pentecoste, della discesa dello Spirito Santo in soccorso dell’umanità, si rinnovi quotidianamente.
Dio è presente negli uomini (fusione del divino e dell'umano), è forza operante in mezzo agli uomini, diffondendo la pace, la giustizia, l'eguaglianza.


Il Conte di Carmagnola

È la prima tragedia scritta da Alessandro Manzoni tra il 1816, e il 1819 in versi endecasillabi. Per il coro Manzoni sceglie il decasillabo, molto martellante ed incisivo.
Francesco Bussone era un valente capitano di ventura, dapprima per il duca di Milano e poi per i Veneziani, al soldo dei quali aveva vinto il suo antico padrone nella battaglia di Maclodio, nel 1427. Secondo l'uso delle compagnie di ventura aveva lasciato liberi i prigionieri; per questo motivo era stato accusato dai Veneziani, che sospettavano un tradimento, e venne condannato a morte.
Manzoni presuppone l'innocenza del Conte e, adottando una prospettiva religiosa, incentra sulla persona dell'innocente ingiustamente condannato la prospettiva di una vita terrena in cui ogni cosa è provvisoria, ogni conquista labile ed ogni fortuna passibile di trasformarsi in una disgrazia per chi la possiede.
E l'ironia della sorte sta nel fatto che anche gli uomini che lo condannano sono persuasi di essere nel giusto, pertanto non sono colpevoli, ma seguono soltanto le procedure previste dalla legge.


Adelchi

Il significato profondo della figura di Adelchi e del suo dialogo con il padre è importante e allo stesso tempo innovativo: riflette infatti sul fatto che anche loro, prima di essere stati sconfitti da Carlo e dai Franchi, si erano dovuti imporre su altre popolazioni: in parole povere riflette sulla ciclicità della storia, e da ciò ne consegue un miglioramento sul piano morale del personaggio. In quest'opera Manzoni inizia a sviluppare il tema della Divina Provvidenza che sarà poi fulcro tematico dei Promessi sposi.
Qui la storia è contemplata attraverso il dramma interiore dei protagonisti, sublimato in una visione religiosa della vita.
Nelle tragedie manzoniane incontriamo due categorie di personaggi. I primi hanno un concreto senso della realtà e sono capaci di agire, restando insensibili alle voci del cuore, i secondi invece vivono per alti e nobili ideali, comprendono le angosce e sofferenze degli altri e trovano solo nella morte la piena realizzazione della loro complessa e travagliata personalità. Le due serie di personaggi rappresentano le due esigenze spirituali che Manzoni non è riuscito ancora a conciliare.
Adelchi, prima di morire, dirà che sulla terra "non resta che far torto o patirlo".
Ermengarda, però, ci è descritta da Manzoni come una donna innamorata, disperata per essere stata abbandonata dallo sposo tanto amato che, entrato in guerra con i Longobardi, l’aveva ripudiata e si era unito in matrimonio con un’altra donna.


Promessi sposi

Considerato principalmente un romanzo storico, in realtà l'opera va ben oltre i ristretti limiti di tale genere letterario: il Manzoni infatti, attraverso la ricostruzione dell'Italia del Seicento, non tratteggia soltanto un grande affresco storico, ma prefigura degli evidenti parallelismi con i processi storici di cui era testimone nel suo tempo, non limitandosi ad indagare il passato ma riflettendo su costanti 'umane' - culturali, psicologiche, spirituali, sociali, politiche.. - e tracciando anche un'idea ben precisa del senso della storia, e del rapporto che il singolo ha con gli eventi storici che lo coinvolgono
È al tempo stesso romanzo di formazione (si veda in particolare il percorso umano di Renzo)
Il romanzo tuttavia è anche e soprattutto filosofico, profondamente cristiano, dominato dalla presenza della Provvidenza nella storia e nelle vicende umane.
 Il male è presente, il gioco dei contrapposti egoismi genera effetti a volte disastrosi nella storia, ma Dio non abbandona gli uomini, e la fede nella Provvidenza, nell'opera manzoniana, permette di dare un senso ai fatti e alla storia dell'uomo.
In particolare il romanzo ha un suo punto di forza nella scelta e nella raffigurazione dei personaggi, resi tutti con grande forza narrativa, scolpiti a tutto tondo dal punto di vista psicologico e umano, tanto che alcuni di essi sono diventati degli stereotipi umani. Una rappresentazione psicologica così accurata dei suoi personaggi fa sì che, salvo poche eccezioni, quasi nessuno di essi sia completamente "positivo" o "negativo". La maestria di Manzoni nel tratteggiare i suoi personaggi emerge soprattutto nei dialoghi, scritti con sottile cura, che spesso sono i veri rivelatori dei personaggi, della loro psicologia e delle loro motivazioni.
La genesi interna del romanzo I promessi sposi è costituita dalle idee di partenza, dall'ideologia di base che la poetica di Manzoni doveva propagandare. Il romanzo era fondato, infatti, su tre perni principali:
  1.  Il vero per soggetto: l'autore mette al centro la ricostruzione storica degli eventi che caratterizzarono quei luoghi a quel tempo.
  2. L'utile per scopo: l'opera deve mirare ad educare l'uomo ai valori che Manzoni vuole diffondere.
  3. Il dilettevole per mezzo: l'argomento del romanzo deve essere moderno, popolare, e quindi avere forti legami con la realtà contadina ed operaia.
Il Seicento è il protagonista immanente in ogni pagina del romanzo e simbolo del fortissimo gusto storico del Manzoni che lo critica nei suoi limiti e difetti.
I Promessi Sposi sono una vicenda di umili. Si attua un capovolgimento della storia: gli umili sono i veri protagonisti, non come eserciti o gruppi sociali, ma ciascuno per sé, con il suo gruzzolo di sentimenti e di idee e le sue opere buone. Ogni vicenda storica è vista in quanto aderisce alla vita degli umili, li agita, procura loro sofferenza. L'intervento di Dio è vivo in tutto il romanzo, ma avvertito con la fede semplice degli umili.
La vicenda è ambientata in Lombardia tra il 1628 e il 1630, al tempo della dominazione spagnola. I protagonisti sono Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, due giovani operai tessili.

sabato 6 aprile 2013

Gabriele D'Annunzio


Soprannominato il Vate cioè "il profeta", occupò una posizione preminente nella letteratura italiana dal 1889 al 1910 circa e nella vita politica dal 1914 al 1924.
Gabriele D'Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 da famiglia borghese benestante. Terzo di cinque figli, visse un'infanzia felice, distinguendosi per intelligenza e vivacità. Il giovane D'Annunzio non tardò a manifestare un carattere ambizioso e privo di complessi e inibizioni, portato al confronto competitivo con la realtà.
Nel 1879 il padre finanziò la pubblicazione della prima opera del giovane studente, Primo vere, una raccolta di poesie che ebbe presto successo.
Dopo aver concluso gli studi liceali accompagnato da una notorietà in continua ascesa, giunse a Roma, dove si iscrisse alla Facoltà di Lettere. Nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano di Roma cominciò a forgiarsi il suo stile raffinato e comunicativo, la sua visione del mondo e il nucleo centrale della sua poetica. La buona accoglienza che trovò in città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, musicisti, giornalisti di origine abruzzese. La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante — ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee — una novità "barbarica", eccitante e trasgressiva.
D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia", "natura-cultura" offriva alle attese di lettori desiderosi di novità. Nel 1883 sposò Maria Hardouin. Il matrimonio finì in una separazione legale dopo pochi anni. Esperienze per lui decisive furono quelle trasfigurate negli eleganti e ricercati resoconti giornalistici.
Il grande successo letterario arrivò con la pubblicazione del suo primo romanzo, Il piacere nel 1889. Tale romanzo, incentrato sulla figura dell'esteta decadente, inaugura una nuova prosa introspettiva e psicologica che rompe con i canoni estetici del naturalismo e del positivismo allora imperanti.
Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.
Tra il 1891 e il 1893 D'Annunzio visse a Napoli. Nel 1892 cominciò una relazione epistolare con la celebre attrice Eleonora Duse, con la quale ebbe inizio la stagione centrale della sua vita. Si conobbero personalmente nel 1894 e subito scattò l'amore.
Per vivere accanto alla sua nuova compagna, D'Annunzio si trasferì a Firenze. È in questo periodo che si situa gran parte della drammaturgia dannunziana che è piuttosto innovativa rispetto ai canoni del dramma borghese.
La relazione con Eleonora Duse si incrinò nel 1904, dopo il tradimento con Alessandra di Rudiní e la pubblicazione del romanzo Il fuoco, in cui il poeta aveva descritto impietosamente la loro relazione. In quell'epoca la vita dispendiosa condotta dal Vate lo portò a sperperare le cospicue somme percepite per le proprie pubblicazioni, che divennero comunque insufficienti a coprire le spese prodottesi.
Nel 1910 D'Annunzio si trasferì in Francia: già da tempo aveva accumulato una serie di debiti e per evitare i creditori aveva preferito allontanarsi dal proprio Paese.
Nel 1915 ritornò in Italia, dove rifiutò la cattedra di letteratura italiana che era stata di Pascoli; condusse immediatamente una intensa propaganda interventista, inneggiando al mito di Roma e del Risorgimento e richiamandosi alla figura di Giuseppe Garibaldi.
Nel settembre 1915 partecipò a un'incursione aerea su Trento e nei mesi successivi, sul fronte carsico, a un attacco lanciato sul monte San Michele nel quadro delle battaglie dell'Isonzo. Il 16 gennaio del 1916, a seguito di un atterraggio d'emergenza, nell'urto contro la mitragliatrice dell'aereo riportò una lesione all'altezza della tempia e dell'arcata sopraccigliare destra. La ferita non curata per un mese provocò la perdita dell'occhio. Visse così un periodo di convalescenza, durante il quale fu assistito dalla figlia Renata. In quei mesi compose il Notturno utilizzando delle sottili strisce di carta che gli permettevano di scrivere nella più completa oscurità, necessaria per la convalescenza dalla ferita che l'aveva temporaneamente accecato.
Contro i consigli dei medici, continuò a partecipare ad azioni belliche aeree e di terra.
Nell'immediato primo dopoguerra D'Annunzio si fece portatore di un vasto malcontento, insistendo sul tema della "vittoria mutilata". La stessa onda di malcontento trovò ben presto un sostenitore in Benito Mussolini, che di qui al 1922 avrebbe portato all'ascesa del fascismo in Italia.
Nel 1919 organizzò un clamoroso colpo di mano paramilitare, guidando una spedizione di "legionari", partiti da Ronchi di Monfalcone all'occupazione della città di Fiume, che le potenze alleate vincitrici non avevano assegnato all'Italia. Con questo gesto D'Annunzio raggiunse l'apice del processo di edificazione del proprio mito personale e politico.
Deluso dall'epilogo dell'esperienza di Fiume, nel febbraio 1921 si ritirò in un'esistenza solitaria nella villa di Cargnacco (comune di Gardone Riviera) che pochi mesi più tardi acquistò. Ribattezzata il Vittoriale degli italiani fu ampliata e successivamente aperta al pubblico. Qui lavorò e visse fino alla morte, curando con gusto teatrale un mausoleo di ricordi e di simboli mitologici di cui la sua stessa persona costituiva il momento di attrazione centrale.
 Il rapporto con il fascismo fu complesso e articolato, benché sostanzialmente organico: i fascisti in ascesa celebrarono D'Annunzio, appropriandosi di motti e simboli del Vate. Lo scrittore, a parte l'adesione iniziale ai Fasci di combattimento, non volle mai prendere la tessera del Partito Nazionale Fascista, probabilmente per mantenere la sua completa autonomia.
D'Annunzio, nella sua vastissima opera, ha avuto almeno due meriti: sul piano culturale, si è avvicinato di volta in volta ad autori ed atteggiamenti del decadentismo europeo contribuendo a diffonderne la conoscenza in Italia e a sprovincializzare la nostra cultura. Sul piano più intimamente poetico, accanto all'esteriorità di molti atteggiamenti esibizionistici, ha saputo cogliere ed esprimere la comunione dei sensi e dell'anima con la molteplicità della vita naturale, creando quella dimensione "panica", di immedesimazione quasi fisica e sensuale basata sulle immediate sensazioni che segnano il nascere di un atteggiamento nuovo per la nostra poesia.
Per esprimere questo atteggiamento raffinato e sensuale D'Annunzio si è servito di un linguaggio ostentatamente insolito ed artistico, basato sul recupero di preziose voci arcaiche e sull'invenzione di neologismi capaci di stupire e meravigliare. Ha creato così un "culto della parola", ricercata soprattutto per clamorose risonanze musicali, che spesso era solo espediente retorico, ma che sapeva anche diventare talora esperienza linguistica originale e contribuiva ad avviare il nuovo linguaggio poetico del '900 verso le svolte successive.

Canto novo

Raccolta di liriche pubblicata nel 1882. La natura è rappresentata nel suo tripudio di luci, colori, odori e con essa il giovane poeta stabilisce un "rapporto di tipo solare" proteso al godimento e alla fusione con essa.


Il piacere

Il romanzo d’esordio di D'Annunzio, pubblicato nel 1889, è il primo della lunga serie di prose che testimoniano in forma esemplare in quale modo l'autore costruisce e precisa la propria ideologia. Rispetto alla tradizione narrativa italiana l’opera ha caratteristiche assai nuove. D’Annunzio conserva, dell’impianto verista, la volontà di dipingere un affresco sociale e di costume, all’interno del quale indugia a descrivere l’ambiente moralmente malato, corrotto e ozioso dell’aristocrazia. Ma l’influenza delle nuove tendenze culturali europee incide fortemente sullo scrittore, spingendolo verso la costruzione di un romanzo in cui gli eventi esterni lasciano spazio all’analisi minuziosa delle psicologie e l’intreccio perde spessore rispetto all’indagine dei tortuosi meccanismi interiori dei personaggi, sui quali l’autore si sofferma con attenzione, rifacendosi in particolare al modello proposto da Paul Bourget, caposcuola del romanzo psicologico.

La vicenda, ambientata a Roma, ha per protagonista Andrea Sperelli, ultimo rampollo di una nobile famiglia, un esteta il cui principio-guida è, secondo l’ideale dello stesso D’Annunzio, quello di “fare” la vita come si fa un’opera d’arte. Il giovane trascorre il tempo lontano dal “grigiore” della quotidianità, circondandosi di cose raffinate e lussuose, immerso in attività fuori del comune. La sua esistenza viene però turbata dall’abbandono dell’amante, la bella e misteriosa Elena Muti, che Andrea, nonostante le numerose avventure frivole, non riesce né a sostituire né a dimenticare. Ferito in duello, durante la convalescenza, si innamora, riamato, di Maria Ferres, una giovane molto spirituale. Ben presto però il rapporto si complica per la somiglianza fra le due donne: Andrea, sempre più tormentato dal ricordo di Elena, ricerca con la nuova amante le sensazioni provate con l’altra e quando, durante una notte d’amore, si rivolge a Maria chiamandola inconsapevolmente Elena, la donna inorridita capisce la verità e lo lascia.

I motivi di fondo del Piacere presentano forti affinità con quelli del romanzo più rappresentativo del Decadentismo europeo di quegli anni, À rebours, di Huysmans.
Andrea Sperelli è totalmente votato alla ricerca estetica, al pieno godimento delle più raffinate sensazioni, e, come lui, destinato alla sconfitta. Compare qui, in maniera estremamente esplicita, quel motivo che la critica ha indicato fra quelli fondamentali della personalità dannunziana, il velleitarismo, ovvero la frattura tra il desiderio di affermazione del proprio io e la costante percezione dell’impossibilità di ottenerla. In questo senso, Il piacere anticipa le posizioni che D’Annunzio verrà precisando nei romanzi successivi.
Ma è indispensabile ricordare ancora una volta che quest’opera testimonia l’eccezionale capacità dello scrittore nel captare e assimilare le espressioni della più recente cultura d’oltralpe, e si propone, proprio per questo, come il primo contributo italiano alla definizione europea dell’eroe decadente che assumerà, in Inghilterra, le splendide e ambigue fattezze di Dorian Gray.

L'Innocente

Romanzo pubblicato nel 1892, che non tiene nascosti gli influssi della lettura del russo Dostoevskij. È una narrazione in prima persona ed è incentrato sulle vicende del "multanime" Tullio Hermil e della moglie Giuliana.
A lei, malata, Tullio si dedica in modo particolare con una sorta di volontaristica pratica di "bontà", malgrado sia attratto e legato all'amante Teresa Raffo. Ma proprio quando si libera da questo legame, crede di scoprire gli indizi di una relazione della moglie con lo scrittore Filippo Arborio. Indizi poi confermati dalla notizia che Giuliana è incinta. Nei due coniugi spunta un progetto delittuoso: sopprimere il nascituro, testimonianza di una fugace colpa, ostacolo alla realizzazione del loro "sublime" amore. È Tullio che, esponendo al freddo invernale il bambino, l'"innocente", compie il delitto.


Trionfo della morte

Romanzo del 1894, terzo del "Ciclo della rosa". L'opera, articolata in sei "libri", ha una struttura narrativa debole. È incentrata sul rapporto contraddittorio e ambiguo di Giorgio Aurispa con l'amante Ippolita Sanzio e su questo tema di fondo si innestano o si sovrappongono altri motivi e argomenti.
Giorgio, in una confusa contaminazione tra superomismo e velleità mistiche, aspira a realizzare una vita nuova, una perfezione di vita spirituale che si fondi sull'autodominio e sull'autosufficienza, e vive il rapporto con l'amante come limitazione, come ostacolo.


Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi

 L'opera poetica più notevole e famosa. Doveva essere di cinque libri, quante sono le Pleiadi, invece è solo di quattro.
Il primo libro, Maia, è composto nel 1903 e il sottotitolo (Laus vitae) ne chiarisce i motivi ispiratori: una vitalistica celebrazione dell'energia vitale, un naturalismo pagano impreziosito o sopraffatto dai riferimenti classici e mitologici.
Il secondo libro, Elettra, composto tra il 1899 e il 1902, celebra gli eroi della patria e dell'arte; nella terza parte sono cantate 25 "città del silenzio" e nella quarta parte si trova il famoso Canto augurale per la Nazione eletta che infiammò di entusiasmo i nazionalisti italiani.
Il terzo libro, Alcyone, pubblicato con il primo, contiene il meglio di D'Annunzio come poeta.
Il quarto libro, Merope, raccoglie canti celebrativi della conquista della Libia.

Alcyone

L’opera è divisibile in cinque sezioni, riguardanti diversi periodi stagionali con conseguenti diversi stati d’animo dell’autore. Ogni sezione, a partire dalla seconda, è preceduta da un ditirambo che ne annuncia il tema dominante. Dal rigore della struttura si intravede la volontà dell’autore di fonder la lirica moderna con l’eleganza classica.
Prima sezione: è ambientato nel paesaggio agreste compreso tra Fiesole e Firenze, nel mese di giugno, i sette testi costituiscono lodi a paesaggi, piante e luoghi nella suggestione dell’estate che arriva.
Seconda sezione: l’ambientazione viene spostata, dopo il primo ditirambo, in Versilia dove si svolgerà anche la successiva vicenda dell’opera. Adesso l’estate è esplosa e viene quindi celebrata la fusione panica tra l’uomo e l’elemento naturale.
Terza sezione: anche in questa sezione l’ambientazione è estiva. D’Annunzio attua il primo tentativo di dare solidità all’esperienza individuale attraverso il ricorso al mito classico, riattualizzato in chiave esistenziale, quale affermazione del potere panico del superuomo.
Quarta sezione: si contano ventisei testi segnati dal termine dell’estate e dai primi presagi autunnali. Al tramonto dell’estate è corrisposto quello del mito, rappresentato sempre più quale ricchezza irrimediabilmente perduta.
Quinta sezione: siamo ormai a settembre, al sentimento del ripiegamento e della perdita si aggiunge quella della fine dell’estate e dell’impossibilità di resuscitare il mito nella società moderna.
Alcyone è l’opera in cui il simbolismo dannunziano raggiunge il suo culmine, tuttavia i temi trattati sono pochi ma ripetuti e rivisti da diverse prospettive. Si possono ricavare tre costanti tematiche:
- scambio tra naturale ed umano: l’eccezionalità del superuomo, sta, al cospetto della massa, nel rendersi fortemente superiore ad essa, ma al cospetto della natura la capacità del superuomo è quella di riuscire a confondersi con essa, di perdere la propria identità ed assumere la stessa prospettiva del mondo naturale, per capirne il mistero e svelarne le leggi;
- riattualizzazione del mito: perché la natura possa assolvere tale funzione, è necessario restituirle la vitalità e l’armonia negatele dal mondo moderno, attraverso il recupero del mito. D’Annunzio recupera i miti della tradizione classica e, contemporaneamente, rappresentando la propria vicenda di immersione naturale in termini mitici, riesce a crearne di nuovi;
- esaltazione della parola, dell’arte e della figura del poeta: la parola poetica è il mezzo attraverso il quale si stabilisce quel contatto tra autenticità interiore e mondo naturale. Da qui scaturisce la sua esaltazione e l’esaltazione dell’arte e della figura del poeta, rappresentato come un vate.

Notturno

Raccolta di meditazioni e ricordi, in forma di prosa lirica, redatta nel 1916 durante il periodo di immobilità e di cecità. L’opera è caratterizzata da un momento di intimità e di ripiegamento su sé stesso.


Il ciclo dei romanzi

Sull'esempio dei romanzi ciclici dell'ottocento di Honorè de Balzac (La commedia umana), di Zola (i Rougon-Macquart), di Verga (I vinti), D'Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi, suddiviso in tre trilogie, ciascuna denominata da un fiore (la rosa, il giglio, il melograno), simbolo delle tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse, giacché i protagonisti dei romanzi non sono che la proiezione sul piano narrativo dello stesso D'Annunzio.
I romanzi della rosa, fiore simbolo della voluttà, della passione invincibile, sono: Il Piacere (1889), L'innocente (1892) e Il trionfo della morte (1894).
I romanzi del giglio, fiore simbolo del superuomo e della passione che si purifica, dovevano ispirarsi al superuomo di Nietzsche.
Il superuomo non è più schiavo delle passioni ma si serve di esse per realizzare pienamente la propria volontà di potenza. In verità Nietzsche non auspicava l'avvento di un uomo superiore agli altri, al quale, in grazia delle qualità eccezionali, fosse tutto permesso, ma l'avvento di un'umanità rinnovata la quale, per poter sviluppare tutte le sue potenzialità, doveva liberarsi da ogni soggezione alla trascendenza e alla morale tradizionale, fatta di ipocrisie e finzioni.
D'Annunzio ignorò o finse di ignorare il significato profondo del niccianesino e lo adottò al suo temperamento sensuale, facendo del superuomo l'individuo d'eccezione, destinato a dominare sugli altri. Nel superuomo nicciano, così come lo immaginò D'Annunzio, s'intravede piuttosto il profilo dei grandi dittatori sanguinari e deliranti del nostro secolo, col loro macabro seguito di tragedie e di guerre.
Della seconda trilogia, D'Annunzio scrisse solo il primo, Le vergini delle rocce (1896).
Claudio Cantelmo, aristocratico e imperialista, seguace delle dottrine del superuomo, concepisce il disegno di unirsi in matrimonio con una delle principesse (Massimilla, Anatolia, Violante) di un'antica famiglia borbonica del regno delle due Sicilie, i Capece-Montaga, ridottasi a vivere nell'ultimo dei suoi feudi, Trigento, "paese di rocce". Scopo del matrimonio è procreare il futuro sovrano, al quale un giorno il popolo, disgustato della demagogia e dalla corruzione della vita politica, offrirà la corona regale.
Anche dei romanzi del melograno, pomo dai molti granelli, simbolo dei frutti che possono derivare dal dominio delle passioni, D'Annunzio scrisse solo il primo, Il fuoco (1900).
Questo romanzo, così intitolato perché inteso come simbolo della creatività dell'artefice, narra, sullo sfondo di Venezia, la storia dell'amore di Stelio Éffrena per la Foscarina. E' un romanzo scopertamente autobiografico, perché vi è adombrata la storia dell'amore del poeta per l'attrice Eleonora Duse.
Stelio è un poeta che sogna una nuova forma di arte drammatica, che risulti dall'intima fusione della parola, del colore, del suono, dell'azione. E' la stessa poetica di Wagner, che del romanzo è un personaggio. La Foscarina dovrebbe essere l'interprete di questo nuovo dramma; ma Stelio s'innamora della giovinetta Donatella Arvale. La Foscarina se ne accorge e ne è gelosa, ma dopo, rassegnata, cede il posto alla rivale e si accomiata da Stelio.

Forse che sì forse che no

Il protagonista Paolo Tarsis realizza la sua volontà eroica tramite le sue imprese di volo. Egli è senza dubbio la reincarnazione dei vari superuomini presenti ne Il Trionfo della Morte o nelle Vergini delle rocce, ma a differenza di questi, non appartiene ad una nobile casata ma è un borghese estraneo agli influssi decadenti e dedito all'azione.
Affiancata a questo superuomo troviamo Isabella Inghirami, la prima figura femminile capace di contendere il primato all'egocentrismo del superuomo di turno. Tra i due personaggi c'è un rapporto di amore-passione che talvolta arriva fino alle degenerazioni dell'incesto e del masochismo.
Questo romanzo rappresenta la piena adesione di D'Annunzio alla contemporaneità: è possibile infatti ritrovare personaggi che si muovono tra aeroplani, automobili, telefoni. Vi si ritrova un amore, quindi, per la macchina e la velocità.


D’Annunzio è considerato l’esponente più emblematico del Decadentismo italiano e l’analisi della sua personalità riguarda, oltre che la storia della letteratura, l’intera storia della cultura di massa, della politica, del costume e della società italiana tra l'Ottocento ed il Novecento. Per un lungo periodo, gli stereotipi da lui creati hanno rappresentato infatti un modello imitato in ogni campo della vita nazionale. In D’Annunzio, vita e letteratura si intersecano e si confondono, creando una figura variegata e ricca di sfumature contraddittorie. E' sempre rimasta costante in lui l'attitudine a trasformare se stesso in personaggio e a far coincidere l’arte con la realtà.
D’Annunzio ha voluto e saputo costruire un vero e proprio modello di vita e ha aperto la sua esistenza alle esperienze più svariate e insolite, costruendo sapientemente un’immagine carismatica di sé, fondata sul prezioso, l’eccentrico, l’inimitabile. In tal modo egli ha rappresentato un punto di riferimento per ampi strati della società, rispondendo alle loro esigenze e appagando le loro inquietudini. Non a caso, la “morale eroica” propugnata dal “personaggio pubblico” D’Annunzio proponeva un’ideologia fondata sulla trasgressione delle regole e su una illimitata affermazione di sé e suggeriva un tipo di comportamento privo di freni morali, percorso da un’accesa componente di piacere estetico, di sensualità e di erotismo. Quell’insieme di princìpi e di modelli di comportamento che D’Annunzio ha elaborato e divulgato con clamore si è tradotto in rapida imitazione non solo delle sue idee, ma addirittura del suo modo di muoversi, di parlare, di vestire, ed ha provocato un vasto fenomeno, noto con il termine di “dannunzianesimo”, che, oltrepassando i confini della letteratura, ha esercitato una consistente influenza sul costume nazionale. Si possono così cominciare a capire i suoi continui “cambiamenti” di ideologie: D’annunzio aderiva agli schieramenti politici che più gli permettevano questo sfruttamento dei meccanismi sociali. E in questo periodo storico il fascismo sembrava, con la sua aderenza popolare, il più adatto a tale scopo.
La poetica di D’annunzio si basa su un’esaltazione del valore della parola e su una completa fusione tra uomo e natura (il famoso panismo), che comporta, nello stile, l’apporto di figure retoriche quali la metafora e la sinestesia. In lui arte e natura tendono a corrispondere. Questo aspetto lo avvicina molto al simbolismo europeo, del quale dà un’interpretazione estremizzante: egli non crede in un arte capace di rivelare un significato universale, ma circoscritto dal particolare.
Le opere superomistiche di D’Annunzio sono tutte una denuncia dei limiti della realtà borghese del nuovo stato unitario, del trionfo dei princìpi democratici ed egualitari, del parlamentarismo e dello spirito affaristico e speculativo che contamina il senso della bellezza e il gusto dell’azione eroica. D’Annunzio arriva quindi a vagheggiare l’affermazione di una nuova aristocrazia che si elevi al di sopra della massa comune attraverso il culto del bello e la vita attiva ed eroica. Per D’Annunzio devono esister alcune élite che hanno il diritto di affermare se stesse, in sprezzo delle comuni leggi del bene e del male. Queste élite al di sopra della massa devono spingere per una nuova politica dello Stato italiano, una politica di dominio sul mondo, verso nuovi destini imperiali, come quelli dell’antica Roma.
La figura dannunziana del superuomo è, comunque, uno sviluppo di quella precedente dell’esteta, la ingloba e le conferisce una funzione diversa, nuova. Il culto della bellezza è essenziale per l’elevazione della stirpe, ma l’estetismo non è più solo rifiuto sdegnoso della società, si trasforma nello strumento di una volontà di dominio sulla realtà.

mercoledì 16 gennaio 2013

Italo Svevo



Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) nasce a Trieste, nel 1861. Nel 1880, a causa di dissesti economici familiari, è costretto ad impiegarsi in una banca, dove lavora per circa un ventennio.
Il 1892 è l’anno in cui esordisce nel romanzo con “Una vita”, che passa totalmente inosservato: sorte non migliore tocca, nel 1898, a “Senilità”. Deluso dall’accoglienza riservata ai suoi scritti,  egli sceglie di chiudersi in un silenzio destinato a durare a lungo.
Nel 1899, dopo il matrimonio con Livia Veneziani, entra come socio nella ditta commerciale del suocero. E’ del 1905 l’inizio della sua frequentazione con James Joyce, che a Trieste vive insegnando l’inglese. Nel 1923 esce “La coscienza di Zeno”, che Joyce fa conoscere all’italianista Valéry Larbaud ed è positivamente recensito nel 1925 da Montale. E’ il preludio al pieno riconoscimento della statura dello scrittore. Nel 1928Svevo muore per un incidente d’auto.
“Un inetto”, avrebbe dovuto essere il primo titolo di “Una vita”: e inetti appaiono i protagonisti dei tre grandi romanzi sveviani. L’Alfonso Nitti di “Una vita”, l’Emilio Brentani di “Senilità”, lo Zeno Cosini de “La coscienza di Zeno” sono, in primo luogo, incapaci ad affrontare la realtà: soprattutto i primi due (ché in Zeno la coscienza della propria inadeguatezza è lucida, egli è in grado di diagnosticare la propria malattia morale ed è consapevole degli artifizi ai quali fa ricorso per sfuggire ad essa) eludono sistematicamente la realtà, ingannano se medesimi per evitare di registrare la propria sconfitta.
Sotto il profilo stilistico, partendo da moduli veristici  e naturalistici (derivanti dai grandi scrittori della tradizione realistica: Balzac, Flaubert, Maupassant), Svevo si sposta progressivamente verso una forma narrativa che - sulla scorta delle intuizioni di Freud, l’opera del quale il Nostro ha ben presente - frantuma i piani temporali e sposta la rappresentazione dalla visione “oggettiva” del narratore a quella “soggettiva” del protagonista.
Non siamo lontani dal “flusso di coscienza” joyciano: ed è proprio questa originalità che fa di Svevo l’autore nostrano che meglio s’inserisce - assieme a Pirandello - nella schiera dei maggiori del ‘900 europeo, tra Joyce e Proust, Musil e Kafka.



Una vita

È il primo romanzo di Italo Svevo.

Il protagonista è Alfonso Nitti, giovane colto che vive in ristrettezze economiche ed è costretto a trasferirsi dall’amato paese natale in città, per lavorare presso la banca Maller. Tormentato dalla nostalgia per la sua terra ed oppresso dal lavoro, Alfonso trova conforto solo nelle visite in casa Maller, soprattutto in virtù dell’amicizia con la figlia del principale, Annetta, che gli propone la stesura di un romanzo a quattro mani e conquista rapidamente il suo cuore. Costretto a separarsi dalla giovane a causa della lunga malattia e successiva morte della madre, al suo ritorno Alfonso scopre con sgomento che Annetta si è fidanzata con il cinico cugino Macario. Sconvolto, egli chiede alla ragazza un ultimo appuntamento, ma al posto di Annetta si presenta il fratello Federico. Sottrattosi al duello, Nitti sceglie come estrema soluzione il suicidio.

Il romanzo, che doveva intitolarsi "Un inetto", è la storia di un uomo solo, scisso dalla società ed incapace di accettarne le regole. Il tentativo di uscire dal proprio isolamento si rivela fallimentare ed evidenzia l'esistenza di un confine invalicabile tra il mondo dell'alta borghesia capitalista e l'universo piccolo borghese. 
Alfonso Nitti è un antieroe che vive continuamente in bilico tra il desiderio di affermarsi, le velleità letterarie, la consapevolezza della propria superiorità rispetto al mondo esterno ed un’innata incapacità ad agire. Ogni tentativo si rivela vano perché Alfonso rimane sempre uguale a se stesso; anche il gesto estremo del suicidio non ha niente d’eroico, rappresentando bensì l’ennesimo compito svolto meccanicamente. 
Negli anni del superuomo di D'Annunzio, Italo Svevo crea un personaggio la cui inettitudine non possiede alcunché di nobile, essendo causa primaria della sua marginalità. La stessa Trieste, che in quegli anni viveva uno straordinario fervore culturale per il suo ruolo di ponte tra mondo latino e Mitteleuropa, si riduce ad una città squallida e grigia, specchio della debolezza del protagonista.


Senilità

“Senilità” racconta la storia di Emilio Brentani, un impiegato trentacinquenne con velleità letterarie, che cerca di sfuggire alla monotonia ed al grigiore della propria esistenza piccolo borghese attraverso un'avventura amorosa con Angiolina, avvenente giovane di estrazione proletaria. Quella che doveva essere una semplice parentesi si trasforma in condanna alla più disperata gelosia, al tormento d'amore a causa dei ripetuti tradimenti della ragazza. Emilio cerca conforto nell'amico Stefano Balli, scultore di successo e gran rubacuori, che diventerà suo antagonista perché la stessa Angiolina finirà con l'innamorarsene e perché travolgerà in una passione intensa ma soffocata per moralismo la sorella Amalia, dolce zitella bruttina.

Emilio Brentani, nevrotico e insicuro, vive la propria esistenza "in difesa", in una condizione di rarefazione senza slanci vitali: di senilità, appunto, con un approccio al mondo filtrato dai libri più che figliato dall'esperienza diretta.
Intellettuale in difficoltà davanti al crollo di valori della borghesia, egli si nasconde dietro una falsa rappresentazione di se stesso per evitare una penosa consapevolezza. Così, idealizza Angiolina Zarri in quanto rappresenta la salute, la potenza dell'eros, la carica vitale, ignorando i limiti d’una personalità rozza, ignorante, insensibile, bugiarda.
Il romanzo, basato sul sapiente uso del discorso libero indiretto che ben rende l’analisi psicologica, è la cronaca interiore della vicenda amorosa di Emilio, dall’incontro con Angiolina fino alla tardiva liberazione; quando, morta la sorella, ormai vittima dell'etilismo, dopo una delirante agonia egli trova il coraggio di lasciare la ragazza, fuggita nel frattempo col cassiere infedele d’una Banca.



La coscienza di Zeno

Pubblicato nel 1923, “La coscienza di Zeno” è un romanzo in prima persona che rompe con tutta la tradizione letteraria italiana: incentrato sull’analisi del subconscio, il racconto è la confessione autobiografica di Zeno Cosini, scritta su consiglio dello psicoterapeuta, il dottor S., il quale - come afferma nella lettera/prefazione del romanzo - decide di pubblicare il memoriale per vendicarsi del paziente che ha interrotto improvvisamente la cura.
Il racconto - narrato entro un tempo "misto", dai confini vaghi - di "tante verità e bugie" lascia spesso il dubbio su quanto corrisponde a realtà e quanto, al contrario, è frutto di fantasiose e consolanti menzogne (Cosini spesso si contraddice).
Spesso è presente il monologo interiore. I fatti non si susseguono cronologicamente, né secondo uno schema lineare: spesso il passato si confonde col presente nell'esposizione frantumata della memoria, attraverso esperienze cruciali che danno il titolo alle sei sezioni del romanzo (Il Fumo, Morte del Padre, Il Matrimonio, Moglie ed Amante, Un’associazione, Psico-Analisi), precedute da una prefazione ed un preambolo in cui il protagonista cerca di far emergere le immagini della prima infanzia. Inetto più maturo rispetto ad Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, Zeno ha una dimensione psicologica maggiormente ricca, data dalla consapevolezza lucida della propria malattia morale e del meccanismo di giustificazioni ed alibi cui è solito ricorrere. Così Svevo rappresenta la crisi dell’essere umano - incapace di instaurare un rapporto positivo con la realtà - e demistifica gli inganni della società borghese capitalistica.
Il romanzo rappresenta una rottura con il romanzo tradizionale, è un anti-romanzo.

Giovane incostante ed arrendevole, Zeno passa da una facoltà universitaria all’altra senza mai laurearsi, schiavo del fumo, vizio e malattia che segna tutta la sua esistenza, ultima sigaretta dopo ultima sigaretta.

La conseguente frustrazione ed il conflitto con il padre culminano nello schiaffo inflittogli dal genitore in punto di morte, definitiva ed estrema punizione davanti alla quale il figlio non ha più possibilità di giustificarsi.

Il trauma porta Zeno a cercare una figura paterna sostitutiva, quella di Giovanni Malfenti, abile uomo d’affari che egli adotta come padre-suocero impalmando una delle sue figlie, Augusta, la più brutta di tre sorelle, l’unica che accetta la proposta rifiutata dalle altre.

Pur non avendola mai voluta, Zeno si sorprende ad amarla e a desiderare la sua “salute”; suo malgrado si ritrova, però, coinvolto in una relazione adulterina con la cantante Carla Greco, dimostrazione del proprio inconsapevole diniego a diventare sano.

Antagonista di Zeno è Guido Speier, il cognato che ha sposato l’avvenente Ada, il campione di “salute” destinato, però, al fallimento finanziario ed all’involontario suicidio.

Sarà paradossalmente Zeno, malgrado la sua inettitudine, a recuperare le perdite di Guido giocando in borsa, ma paleserà i propri sentimenti di odio verso il cognato arrivando in ritardo ai suoi funerali e sbagliando, per giunta, corteo funebre.

Nel capitolo conclusivo Zeno, in seguito alla guerra, racconta di sentirsi pienamente guarito grazie ai successi commerciali raggiunti ed alla constatazione che la malattia è condizione d’ogni uomo.

Identificando il progresso umano nella creazione di ordigni - comprese le idee - che impediscono la soddisfazione delle più intime esigenze, auspica un’enorme esplosione che riporti la Terra allo stato di nebulosa e consenta agli uomini di ritrovare l’armonia.