martedì 15 gennaio 2013

Eugenio Montale



Nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia borghese. Pur frequentando scuole tecniche, coltiva interessi letterari, studia musica e canto e presto si dedica completamente alla poesia e alla letteratura.
Tornato a Genova dopo la guerra, durante la quale è stato ufficiale al fronte, frequenta gli ambienti letterari e conosce fra gli altri Italo Svevo, di cui apprezza, per primo in Italia, l’opera e lo stile.

Nel 1925 pubblica il suo primo libro di versi, Ossi di seppia, e si trasferisce a Firenze, dove collabora a importanti riviste letterarie. Nel 1929 è nominato direttore della biblioteca del Gabinetto Visseux di Firenze, ma nel 1938 perde il posto per il suo impegno antifascista e vive grazie a collaborazioni editoriali e traduzioni di testi letterari.

La sua seconda raccolta, Le occasioni, lo conferma esponente di spicco della nuova poesia italiana.
Dopo la guerra Montale si iscrive al Partito di azione, ma la sua esperienza politica è breve; ben presto si dedica al giornalismo, collaborando al "Corriere della Sera", e nel 1967 è nominato, per i suoi meriti letterari, senatore a vita. 

Negli anni Sessanta e Settanta pubblica altre importanti raccolte di poesie, fra cui Satura, dedicata alla moglie morta. Nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. Nel discorso tenuto in occasione della consegna del premio Nobel Montale dice:"...io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà".
Muore a Milano, dove si era trasferito da oltre vent'anni, nel 1981.


La Raccolta d’Esordio: “Ossi di Seppia”
 
Ossi di seppia: la raccolta comprende testi elaborati tra il 1920 e il 1925, in parte già apparsi in rivista.

Questa la struttura della raccolta,
si collocano quattro sezioni intitolate:
  • Movimenti
  • Ossi di seppia 
  • Mediterraneo
  • Meriggi e Ombre
La poesia degli Ossi è una poesia anti-eloquente e in negativo: non ha nessuna verità o certezza da rivelare, ma si limita a registrare la profonda angoscia del poeta, la sua “disarmonia” con il mondo, il suo “male di vivere”, appunto, che trova espressione in celebri metafore, quali “camminare lungo un muro”, “che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, essere imprigionati in una rete, essere legati da una catena; talvolta si intravede una possibilità di salvezza. Ma è una possibilità suggerita, vaga.
Montale non vuole e non può darci la formula risolutiva; nessuna certezza positiva, ma solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Gli Ossi di seppia che danno il titolo alla raccolta, e cioè le conchiglie di certi molluschi, presenze inaridite e ridotte al minimo, appaiono emblematici di questa poetica dello “scabro ed essenziale”.
I motivi che attraversano la raccolta sono :
  1. il paesaggio
  2. l’amore
  3. l’evasione, la fuga
Il Linguaggio Poetico
Se la realtà osservata si rivela frantumata e sfuggente, il linguaggio poetico è al contrario, preciso ed esatto. Ogni oggetto poetico è designato dalla parola con assoluta precisione, legato a un solo significato. Essenziale e non ridondante è il lessico, e a tal fine Montale ricorre sia a termini tecnici che dialettali, che aulici.
La caratteristica preminente della lingua degli Ossi è la ricchezza lessicale: sono molti i vocaboli con un numero di occorrenze basso, talora veri e propri Hapax (cioè vocaboli che si presentano nell’opera una sola volta).
Modelli
La metrica degli Ossi non è una metrica rivoluzionaria. I metri tradizionali sono frequenti, settenari, novenari, endecasillabi.
Oltre che della lezione dannunziana, gli Ossi risentono anche di Dante,  Pascoli e i simbolisti francesi, soprattutto Verlaine.

NON CHIEDERCI LA PAROLA

È senza dubbio una delle poesie più celebri e citate di Montale. Si tratta del testo - scritto nel 1923 - che apre la sezione Ossi di seppia e contiene alcune idee essenziali per capire la concezione della poesia e del ruolo del poeta secondo Montale; è divenuta uno dei maggiori emblemi della poetica “negativa” di Montale.
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

L'autore instaura un dialogo con il lettore stesso - o meglio, quel lettore che esige verità assolute e definitive – parlando a nome dei poeti, come si deduce dall’uso del plurale (Non chiederci), invitandolo a non chiedergli alcuna definizione precisa ed assoluta, né su stesso né sull'uomo in genere, e nemmeno sul significato del mondo e della vita. Egli infatti, a differenza dell'uomo "che se ne va sicuro" perché ignaro ed insieme incurante del senso della propria esistenza, non ha alcuna "formula" risolutiva, ma solo dubbi e incertezze, o tutt'al più una conoscenza negativa. Il poeta può soltanto rappresentare, con poche scarne parole, la precarietà della condizione umana.
In questa poesia, come già in “Meriggiare pallido e assorto”, appare il muro, immagine ricorrente nella poesia di Montale e simbolo del limite che domina la vita dell’uomo.
Non (Non: i vari “non” presenti nella poesia stabiliscono la struttura circolare sulla negatività, con un non si apre la lirica e con un non inizia l’ultima strofa) chiedere [a noi poeti] di  spiegare con precisione sotto tutti gli aspetti (parola che squadri da ogni lato) il nostro animo privo di certezze  (informe: che non ha certezze e una solida fisionomia), e con parole  chiare e indelebili (di fuoco) di avere risposte certe e definitive che risplendano come un croco (piante erbacea da cui si ottiene lo zafferano, dal colore giallo-rosso la cui vista spiccherebbe in un arido campo) in un campo grigio e polveroso (polveroso prato: simbolizza l’aridità della vita; con “scalcinato”, “canicola”, “ramo” secco rappresentano elementi connotati da una negatività)
Ah…muro: [il soggetto di questa quartina ha, al contrario del Poeta,  certezze. Il tono esclamativo esprime la commiserazione ironica del poeta nei riguardi di chi vive senza porsi problemi] Ah l’uomo che vive sicuro (senza preoccupazioni e affanni), e si sente in armonia (amico) con se stesso e con gli altri, e non ha paura della sua ombra proiettata dal sole ardente (la canicola) su un muro sgretolato (con tutto quello di inquietante essa potrebbe suggerire). Non domandarci  la formula magica o scientifica che possa darti una piena conoscenza della realtà e certezze sulle quali basare la tua esistenza (la formula…aprirti) ma solo qualche parola incerta e scarna (storta sillaba e secca) come un ramo secco [infatti la poesia montaliana  è una poesia antieloquente, che non ha verità da rivelare, e che non può che avere quindi una forma scarna ed essenziale], solo questo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo e ciò che non vogliamo (ciò che…vogliamo: oggi il poeta può definire solo una condizione negativa dell’esperienza)
Forma metrica: tre quartine di versi di varia lunghezza, con numerosi endecasillabi e doppi settenari, variamente rimati. Schema: ABBA CDDC (la prima e la seconda strofa a rime incrociate) EFEF (la terza a rime alternate). Rima ipermetra ai vv.6-7 (canicola fa rime con amico in quanto la sillaba finale la si fonde metricamente con il verso successivo).
Il modulo utilizzato è quello del colloquio con un interlocutore fittizio (un “tu” imprecisato). Il lessico è quotidiano, scarno ed essenziale.


SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO

Questa poesia è una delle più felici e famose espressioni della dolorosa concezione esistenziale montaliana, tratta un tema che tanto deve a Leopardi: “il male di vivere” e si ispira al v.104 del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “…a me la vita è male”.

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato


Parafrasi 

Spesso ho visto la sofferenza del vivere: era (era…era - anafora) il faticoso fluire del ruscello (rivo) che gorgoglia (come in un lamento) impedito nel suo scorrere (strozzato: un ostacolo impedisce al ruscello di fluire liberamente), era l’accartocciarsi della foglia  bruciata  dalla calura (riarsa:  è rinsecchita  e perciò si accartoccia - rimanda al consueto tema montaliano dell'aridità esistenziale che si rispecchia, oggettivandosi, nella natura), era  il cavallo stroncato dalla fatica (stramazzato)
Non conobbi (seppi) altra possibilità di salvezza (bene - anastrofe) se non nella condizione prodigiosa (prodigio condizione rara, eccezionale come un miracolo) che un atteggiamento di superiore distacco (divina Indifferenza – chiasmo – l’Indifferenza, con la i maiuscola, è conquista sovrumana che equipara l’uomo alla divinità) concede (schiude)[Il male di vivere può essere non annullato, ma almeno attenuato dall’indifferenza, che porta ad un distacco dalla realtà e quindi dal dolore]: era la statua nell’ora sonnolente del meriggio (l’immagine del meriggio cara al poeta accentua l’immobilità e l’indifferenza della statua) e la nuvola e il falco che vola lontano (verso ipermetro – per rendere lo slancio del volo che porta lontano il verso si distende oltre misura rispetto agli altri versi)
Statua..nuvola..falco: elenca immagini-simbolo dell’immobilità e quindi dell’indifferenza. La statua, immagine cara della poesia crepuscolare, viene caricata di un valore emblematico per indicare la staticità inerte e insensibile delle cose. La nuvola per la sua inconsistenza e il falco per la sua libertà istintiva, colti mentre si stagliano nel cielo in un momento di staticità.
La lirica è strutturalmente divisa in due parti che rappresentano due momenti della riflessione del poeta.
La prima parte è incentrata sul malessere esistenziale ravvisabile nelle situazioni quotidiane in cui si riscontra un crudele incepparsi delle cose. Montale trae alcuni esempi dalla realtà naturale, nel regno inanimato, animale e vegetale: "il rivo", "la foglia", "il cavallo", colti in un momento di precarietà e dolore, come sottolineano gli aggettivi ad essi collegati: "strozzato", "riarsa", "stramazzato": il ruscello che non può più scorrere, la foglia che si accartoccia, il cavallo che è stroncato dalla fatica. E’ la constatazione che gli aspetti più dimessi e quotidiani rivelano un pianto delle cose che testimonia un cosmico male di vivere e un’uguale sofferenza degli uomini (correlativo oggettivo).
Nella seconda quartina, in opposizione al "male di vivere", Montale afferma che l'unico "bene" per l'uomo consiste nell'atteggiamento di "indifferenza" per tutto ciò che è segnato dal male e dal dolore. Ai tre emblemi del "male" si contrappongono simmetricamente, tre esempi concreti di questa specie di "bene" (correlativi oggettivi): "la statua", "la nuvola" e il "falco": la statua si caratterizza per la sua fredda, marmorea insensibilità; la nuvola e il falco perché si levano alti al di sopra della miseria del mondo.
Forma metrica: Due quartine di endecasillabi, tranne l'ultimo verso che è un settenario doppio. Schema: ABBA CDDA. Il componimento ha un andamento discorsivo e il lessico è scarno ed essenziale.
Fonicamente la poesia si esprime per la contrapposizione tra i versi chiari e distesi della seconda quartina (in sintonia con l’immagine dell’indifferenza e del distacco) e i suoni invece aspri della prima quartina (in sintonia con l’immagine dell’angoscia esistenziale).



Seconda raccolta, “Le Occasioni”
 
Permane il motivo fondamentale della “disarmonia” e del dolore esistenziale, ma cambiano alcuni elementi: il paesaggio non solo non è più ligure ma toscano (il poeta si è trasferito nel frattempo a Firenze).
Se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un generico Tu, ora cerca interlocutori reali, concreti (ma per lo più fisicamente assenti); l’interlocutrice prediletta è una figura femminile.

Nelle Occasioni domina la ricerca di ciò che può costituire un’eccezione alla negatività, all’assurdo del reale: la ricerca insomma del “fantasma che ti salva”, che è qui un “fantasma” femminile, quello di Clizia. Il tema principale di tutta la raccolta "Le occasioni" è la figura femminile vista spesso in senso quasi religioso, salvifico e molto vicino all'immagine della donna che avevano i poeti stilnovisti del Duecento: quasi tutte le poesie della raccolta sono in realtà delle dediche a diverse donne che hanno costituito dei punti di riferimento importanti nella vita di Montale, ad esempio Anna degli Uberti (conosciuta in Liguria a Monterosso) oppure Irma Brandeis, un’ebrea americana studiosa di Dante e fuggita negli Stati Uniti dopo le leggi razziali emanate dal fascismo nel 1938.


Il balcone

L'intero volume è introdotto da una lirica intitolata "Il balcone", che fa parte della serie dei "Mottetti": si tratta di poesie di carattere descrittivo in cui è applicata la tecnica del "correlativo oggettivo" usata molto da Thomas Eliot.  Attraverso il “correlativo oggettivo”  sensazioni, ricordi, stati d’animo, i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro definizione in “oggetti” ben definiti e concreti. La valenza simbolica degli oggetti si accentua e si assolutizza.
La lirica di apertura è una dedica ad Anna degli Uberti, morta piuttosto prematuramente (a 54 anni) nel 1959.
Pareva facile giuoco
mutare in nulla lo spazio
che m'era aperto, in un tedio
malcerto il certo tuo fuoco.
Ora a quel vuoto ho congiunto
ogni mio tardo motivo,
sull'arduo nulla si spunta
l'ansia di attenderti vivo.
La vita che dà barlumi
è quella che sola tu scorgi.
A lei ti sporgi da questa
finestra che non s'illumina.

L'espressione "mutare in nulla lo spazio che m'era aperto" sembra prefigurare la possibilità della rassegnazione di fronte alla ricerca di un senso da dare alla vita, ricerca che per il poeta appare molto travagliata e spesso non proficua: è evidente la contrapposizione con il Tu femminile, che invece sembra percorrere la vita sostenuta da certezze, come suggerisce l'espressione "il certo tuo fuoco".
Questa è in effetti una costante di tutta la poesia di Montale: la figura femminile viene vista come portatrice di una verità che sfugge al poeta e quindi può rappresentare una luce, un’ancora di salvezza in una vita dominata da continue incertezze e difficoltà.
Anna degli Uberti è quindi l'unica che può scorgere la vita che dà "barlumi": questo termine indica quei momenti magici della vita in cui l'esistenza appare dotata di senso e di significato e non soltanto un insensato susseguirsi di giorni sempre uguali, dominati dalla noia e dalla fatica.
"La finestra che non s'illumina" dell'ultimo verso è la memoria del poeta, che ripercorre gli istanti vissuti con Anna ormai morta, ma in un certo senso molto più "viva" del poeta, proprio perché inserita in una dimensione metafisica.


 
Terza raccolta: “La Bufera e altro”
 
La situazione storica, esterna, che fa da sfondo alla nuova produzione poetica si è fatta intanto, e si va facendo, sempre più cupa: il regime dittatoriale si è inasprito e all’orizzonte si addensano minacciose nuvole di guerra, le stesse che dominano la terza raccolta.
A differenza degli Ossi e delle Occasioni, La bufera e altro appare una raccolta non unitaria ma varia per tempi di composizione, temi e intonazione poetica. La guerra non provoca una nuova visione della realtà da parte del poeta, ma semplicemente conferma e accentua il rapporto critico e disarmonico con la realtà, concepita come “assurda, irrazionale e ininterpretabile”.


Satura

Gli anni sessanta e settanta, costituiscono lo sfondo della seconda stagione poetica montaliana.
Dopo la seconda guerra mondiale e i primi difficili tempi della ricostruzione, lo sviluppo capitalistico e il progresso tecnologico danno vita a una società di massa a cui Montale guarda con un distacco aristocratico e nostalgico. Il mondo che incontriamo in Satura, è ormai ridotto a detriti, a scorie, e il negativo è ancor più forte in quanto ormai dilagante.
Il titolo Satura, per ammissione dello stesso Montale, ha più significati:
  1. allude alla vena satirica che percorre la raccolta;
  2. e allude pure al sintagma latino satura lanx, che stava a indicare prima “ un piatto pieno di cibi diversi”;
  3. e poi anche un genere letterario caratterizzato dalla varietà di metri e di temi.
Il rovesciamento linguistico
In questa nuova stagione poetica il linguaggio di Montale si trasforma, lo stile viene rovesciato: il lessico tende al basso, al prosastico, e può essere definito grosso modo un lessico quotidiano.



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