Nasce a Genova nel 1896 da un’agiata famiglia borghese. Pur frequentando
scuole tecniche, coltiva interessi letterari, studia musica e canto e presto si
dedica completamente alla poesia e alla letteratura.
Tornato a Genova dopo la guerra, durante
la quale è stato ufficiale al fronte, frequenta gli ambienti letterari e
conosce fra gli altri Italo Svevo, di cui apprezza, per primo in Italia, l’opera
e lo stile.
Nel 1925 pubblica il suo primo
libro di versi, Ossi di seppia, e si
trasferisce a Firenze, dove
collabora a importanti riviste letterarie. Nel 1929 è nominato direttore della
biblioteca del Gabinetto Visseux di Firenze, ma nel 1938 perde il posto per il
suo impegno antifascista e vive grazie a collaborazioni editoriali e traduzioni
di testi letterari.
La sua seconda raccolta, Le occasioni, lo conferma esponente di
spicco della nuova poesia italiana.
Dopo la guerra Montale si iscrive
al Partito di azione, ma la sua esperienza politica è breve; ben presto si
dedica al giornalismo, collaborando al "Corriere della Sera", e nel
1967 è nominato, per i suoi meriti letterari, senatore a vita.
Negli anni Sessanta e Settanta
pubblica altre importanti raccolte di poesie, fra cui Satura, dedicata alla moglie morta. Nel 1975 riceve il premio Nobel
per la letteratura. Nel discorso tenuto in occasione della consegna del premio
Nobel Montale dice:"...io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto
assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di
nobiltà".
Muore a Milano, dove si era trasferito da oltre vent'anni, nel 1981.
La Raccolta d’Esordio: “Ossi di
Seppia”
Ossi di seppia:
la raccolta comprende testi elaborati tra il 1920 e il 1925, in parte già
apparsi in rivista.
Questa la struttura della raccolta, si collocano quattro sezioni intitolate:
- Movimenti
- Ossi di seppia
- Mediterraneo
- Meriggi e Ombre
La poesia degli Ossi è una poesia anti-eloquente e in
negativo: non ha nessuna verità o certezza da rivelare, ma si limita a
registrare la profonda angoscia del poeta, la sua “disarmonia” con il mondo, il
suo “male di vivere”, appunto, che trova espressione in celebri metafore, quali
“camminare lungo un muro”, “che ha in cima cocci aguzzi di
bottiglia”, essere imprigionati in una rete, essere legati da una catena;
talvolta si intravede una possibilità di salvezza. Ma è una possibilità
suggerita, vaga.
Montale non vuole e non può darci la formula risolutiva; nessuna certezza positiva, ma solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Montale non vuole e non può darci la formula risolutiva; nessuna certezza positiva, ma solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Gli Ossi di seppia che
danno il titolo alla raccolta, e cioè le conchiglie di certi molluschi,
presenze inaridite e ridotte al minimo, appaiono emblematici di questa poetica
dello “scabro ed essenziale”.
I motivi che attraversano la raccolta sono :
I motivi che attraversano la raccolta sono :
- il paesaggio
- l’amore
- l’evasione, la fuga
Il Linguaggio Poetico
Se la realtà osservata si rivela
frantumata e sfuggente, il linguaggio poetico è al contrario, preciso ed
esatto. Ogni oggetto poetico è designato dalla parola con assoluta precisione,
legato a un solo significato. Essenziale e non ridondante è il lessico, e a tal
fine Montale ricorre sia a termini tecnici che dialettali, che aulici.
La caratteristica preminente della
lingua degli Ossi è la ricchezza lessicale: sono molti i vocaboli con un
numero di occorrenze basso, talora veri e propri Hapax (cioè
vocaboli che si presentano nell’opera una sola volta).
Modelli
La metrica degli Ossi non è una metrica rivoluzionaria. I metri tradizionali sono frequenti, settenari, novenari, endecasillabi.
La metrica degli Ossi non è una metrica rivoluzionaria. I metri tradizionali sono frequenti, settenari, novenari, endecasillabi.
Oltre che della lezione dannunziana,
gli Ossi risentono anche di Dante,
Pascoli e i simbolisti francesi, soprattutto Verlaine.
NON
CHIEDERCI LA PAROLA
È senza dubbio una delle poesie più
celebri e citate di Montale. Si tratta del testo - scritto nel 1923 - che apre
la sezione Ossi di seppia e contiene
alcune idee essenziali per capire la concezione della poesia e del ruolo del
poeta secondo Montale; è divenuta uno dei maggiori emblemi della poetica
“negativa” di Montale.
Non
chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo
nostro informe, e a lettere di fuoco
lo
dichiari e risplenda come un croco
perduto
in mezzo a un polveroso prato.
Ah
l'uomo che se ne va sicuro,
agli
altri ed a se stesso amico,
e
l'ombra sua non cura che la canicola
stampa
sopra uno scalcinato muro!
Non
domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì
qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto
solo oggi possiamo dirti:
ciò
che non siamo, ciò che non vogliamo.
L'autore instaura un dialogo con il
lettore stesso - o meglio, quel lettore che esige verità assolute e definitive
– parlando a nome dei poeti, come si deduce dall’uso del plurale (Non
chiederci), invitandolo a non chiedergli alcuna definizione precisa ed
assoluta, né su stesso né sull'uomo in genere, e nemmeno sul significato del
mondo e della vita. Egli infatti, a differenza dell'uomo "che se ne va
sicuro" perché ignaro ed insieme incurante del senso della propria
esistenza, non ha alcuna "formula" risolutiva, ma solo dubbi e
incertezze, o tutt'al più una conoscenza negativa. Il poeta può soltanto
rappresentare, con poche scarne parole, la precarietà della condizione umana.
In questa poesia, come già in
“Meriggiare pallido e assorto”, appare il muro, immagine ricorrente nella
poesia di Montale e simbolo del limite che domina la vita dell’uomo.
Non
(Non: i vari “non” presenti nella poesia stabiliscono la struttura circolare
sulla negatività, con un non si apre la lirica e con un non inizia l’ultima
strofa) chiedere [a noi poeti] di
spiegare con precisione sotto tutti gli aspetti (parola che squadri
da ogni lato) il nostro animo privo di
certezze (informe: che non ha
certezze e una solida fisionomia), e con
parole chiare e indelebili (di
fuoco) di avere risposte certe e
definitive che risplendano come un croco (piante erbacea da cui si ottiene
lo zafferano, dal colore giallo-rosso la cui vista spiccherebbe in un arido
campo) in un campo grigio e polveroso
(polveroso prato: simbolizza l’aridità della vita; con “scalcinato”,
“canicola”, “ramo” secco rappresentano elementi connotati da una negatività)
Ah…muro: [il soggetto di questa
quartina ha, al contrario del Poeta,
certezze. Il tono esclamativo esprime la commiserazione ironica del
poeta nei riguardi di chi vive senza porsi problemi] Ah l’uomo che vive sicuro (senza preoccupazioni e affanni), e si sente in armonia (amico) con se stesso e con gli altri, e non ha
paura della sua ombra proiettata dal sole ardente (la canicola) su un muro sgretolato (con tutto quello
di inquietante essa potrebbe suggerire). Non
domandarci la formula magica o
scientifica che possa darti una piena conoscenza della realtà e certezze sulle
quali basare la tua esistenza (la formula…aprirti) ma solo qualche parola incerta e scarna (storta sillaba e secca) come un ramo secco [infatti la poesia
montaliana è una poesia antieloquente,
che non ha verità da rivelare, e che non può che avere quindi una forma scarna
ed essenziale], solo questo oggi possiamo
dirti: ciò che non siamo e ciò che non vogliamo (ciò che…vogliamo: oggi il
poeta può definire solo una condizione negativa dell’esperienza)
Forma metrica: tre quartine di versi
di varia lunghezza, con numerosi endecasillabi e doppi settenari, variamente
rimati. Schema: ABBA CDDC (la prima e la seconda strofa a rime incrociate) EFEF
(la terza a rime alternate). Rima ipermetra ai vv.6-7 (canicola fa rime con
amico in quanto la sillaba finale la si fonde metricamente con il verso
successivo).
Il modulo utilizzato è quello del
colloquio con un interlocutore fittizio (un “tu” imprecisato). Il lessico è
quotidiano, scarno ed essenziale.
SPESSO
IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO
Questa poesia è una delle più felici
e famose espressioni della dolorosa concezione esistenziale montaliana, tratta
un tema che tanto deve a Leopardi: “il male di vivere” e si ispira al v.104 del
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “…a me la vita è male”.
Spesso
il male di vivere ho incontrato:
era
il rivo strozzato che gorgoglia,
era
l'incartocciarsi della foglia
riarsa,
era il cavallo stramazzato.
Bene
non seppi, fuori del prodigio
che
schiude la divina Indifferenza:
era
la statua nella sonnolenza
del
meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato
Parafrasi
Spesso ho visto la sofferenza del
vivere: era (era…era - anafora) il faticoso fluire del ruscello (rivo) che
gorgoglia (come in un lamento) impedito nel suo scorrere (strozzato: un
ostacolo impedisce al ruscello di fluire liberamente), era l’accartocciarsi
della foglia bruciata dalla calura (riarsa: è rinsecchita
e perciò si accartoccia - rimanda al consueto tema montaliano
dell'aridità esistenziale che si rispecchia, oggettivandosi, nella natura),
era il cavallo stroncato dalla fatica
(stramazzato)
Non conobbi (seppi) altra
possibilità di salvezza (bene - anastrofe) se non nella condizione prodigiosa
(prodigio condizione rara, eccezionale come un miracolo) che un atteggiamento
di superiore distacco (divina Indifferenza – chiasmo – l’Indifferenza, con la i
maiuscola, è conquista sovrumana che equipara l’uomo alla divinità) concede
(schiude)[Il male di vivere può essere non annullato, ma almeno attenuato
dall’indifferenza, che porta ad un distacco dalla realtà e quindi dal dolore]:
era la statua nell’ora sonnolente del meriggio (l’immagine del meriggio cara al
poeta accentua l’immobilità e l’indifferenza della statua) e la nuvola e il
falco che vola lontano (verso ipermetro – per rendere lo slancio del volo che
porta lontano il verso si distende oltre misura rispetto agli altri versi)
Statua..nuvola..falco:
elenca immagini-simbolo dell’immobilità
e quindi dell’indifferenza. La statua, immagine cara della poesia crepuscolare,
viene caricata di un valore emblematico per indicare la staticità inerte e
insensibile delle cose. La nuvola per la sua inconsistenza e il falco per la
sua libertà istintiva, colti mentre si stagliano nel cielo in un momento di
staticità.
La lirica è strutturalmente divisa
in due parti che rappresentano due momenti della riflessione del poeta.
La prima parte è incentrata sul malessere esistenziale ravvisabile
nelle situazioni quotidiane in cui si riscontra un crudele incepparsi delle
cose. Montale trae alcuni esempi dalla realtà naturale, nel regno inanimato,
animale e vegetale: "il rivo", "la foglia", "il
cavallo", colti in un momento di precarietà e dolore, come sottolineano
gli aggettivi ad essi collegati: "strozzato", "riarsa",
"stramazzato": il ruscello che non può più scorrere, la foglia che si
accartoccia, il cavallo che è stroncato dalla fatica. E’ la constatazione che
gli aspetti più dimessi e quotidiani rivelano un pianto delle cose che
testimonia un cosmico male di vivere e un’uguale sofferenza degli uomini
(correlativo oggettivo).
Nella seconda quartina, in opposizione al "male di vivere",
Montale afferma che l'unico "bene" per l'uomo consiste
nell'atteggiamento di "indifferenza" per tutto ciò che è segnato dal
male e dal dolore. Ai tre emblemi del "male" si contrappongono
simmetricamente, tre esempi concreti di questa specie di "bene"
(correlativi oggettivi): "la statua", "la nuvola" e il
"falco": la statua si caratterizza per la sua fredda, marmorea
insensibilità; la nuvola e il falco perché si levano alti al di sopra della
miseria del mondo.
Forma
metrica: Due quartine di endecasillabi,
tranne l'ultimo verso che è un settenario doppio. Schema: ABBA CDDA. Il
componimento ha un andamento discorsivo e il lessico è scarno ed essenziale.
Fonicamente la poesia si esprime per
la contrapposizione tra i versi chiari e distesi della seconda quartina (in
sintonia con l’immagine dell’indifferenza e del distacco) e i suoni invece
aspri della prima quartina (in sintonia con l’immagine dell’angoscia
esistenziale).
Seconda raccolta, “Le Occasioni”
Permane il motivo fondamentale della
“disarmonia” e del dolore esistenziale, ma cambiano alcuni elementi: il
paesaggio non solo non è più ligure ma toscano (il poeta si è trasferito nel
frattempo a Firenze).
Se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un generico Tu, ora cerca interlocutori reali, concreti (ma per lo più fisicamente assenti); l’interlocutrice prediletta è una figura femminile.
Se negli Ossi il poeta dialogava solo con il mare (tema principale della prima raccolta) o con un generico Tu, ora cerca interlocutori reali, concreti (ma per lo più fisicamente assenti); l’interlocutrice prediletta è una figura femminile.
Nelle Occasioni domina la
ricerca di ciò che può costituire un’eccezione alla negatività, all’assurdo del
reale: la ricerca insomma del “fantasma che ti salva”, che è qui un “fantasma”
femminile, quello di Clizia. Il tema
principale di tutta la raccolta "Le occasioni" è la figura femminile
vista spesso in senso quasi religioso, salvifico e molto vicino all'immagine
della donna che avevano i poeti stilnovisti del Duecento: quasi tutte le poesie
della raccolta sono in realtà delle dediche a diverse donne che hanno
costituito dei punti di riferimento importanti nella vita di Montale, ad
esempio Anna degli Uberti (conosciuta in Liguria a Monterosso) oppure Irma Brandeis,
un’ebrea americana studiosa di Dante e fuggita negli Stati Uniti dopo le leggi
razziali emanate dal fascismo nel 1938.
Il
balcone
L'intero volume è introdotto da una
lirica intitolata "Il balcone", che fa parte della serie dei
"Mottetti": si tratta di poesie di carattere descrittivo in cui è
applicata la tecnica del "correlativo oggettivo" usata molto da
Thomas Eliot. Attraverso il “correlativo
oggettivo” sensazioni, ricordi, stati
d’animo, i concetti e i sentimenti più astratti trovano la loro definizione in
“oggetti” ben definiti e concreti. La valenza simbolica degli oggetti si
accentua e si assolutizza.
La lirica di apertura è una dedica
ad Anna degli Uberti, morta piuttosto prematuramente (a 54 anni) nel 1959.
Pareva
facile giuoco
mutare
in nulla lo spazio
che
m'era aperto, in un tedio
malcerto
il certo tuo fuoco.
Ora
a quel vuoto ho congiunto
ogni
mio tardo motivo,
sull'arduo
nulla si spunta
l'ansia
di attenderti vivo.
La
vita che dà barlumi
è
quella che sola tu scorgi.
A
lei ti sporgi da questa
finestra
che non s'illumina.
L'espressione "mutare in nulla
lo spazio che m'era aperto" sembra prefigurare la possibilità della
rassegnazione di fronte alla ricerca di un senso da dare alla vita, ricerca che
per il poeta appare molto travagliata e spesso non proficua: è evidente la
contrapposizione con il Tu femminile, che invece sembra percorrere la vita
sostenuta da certezze, come suggerisce l'espressione "il certo tuo
fuoco".
Questa è in effetti una costante di
tutta la poesia di Montale: la figura femminile viene vista come portatrice di
una verità che sfugge al poeta e quindi può rappresentare una luce, un’ancora
di salvezza in una vita dominata da continue incertezze e difficoltà.
Anna degli Uberti è quindi l'unica
che può scorgere la vita che dà "barlumi": questo termine indica quei
momenti magici della vita in cui l'esistenza appare dotata di senso e di
significato e non soltanto un insensato susseguirsi di giorni sempre uguali,
dominati dalla noia e dalla fatica.
"La finestra che non
s'illumina" dell'ultimo verso è la memoria del poeta, che ripercorre gli
istanti vissuti con Anna ormai morta, ma in un certo senso molto più
"viva" del poeta, proprio perché inserita in una dimensione
metafisica.
Terza
raccolta: “La Bufera e altro”
La situazione storica, esterna, che fa da sfondo alla nuova produzione poetica si è fatta intanto, e si va facendo, sempre più cupa: il regime dittatoriale si è inasprito e all’orizzonte si addensano minacciose nuvole di guerra, le stesse che dominano la terza raccolta.
A differenza degli Ossi
e delle Occasioni, La bufera e altro appare una
raccolta non unitaria ma varia per tempi di composizione, temi e intonazione
poetica. La guerra non provoca una nuova visione della realtà da parte del poeta,
ma semplicemente conferma e accentua il rapporto critico e disarmonico con la
realtà, concepita come “assurda, irrazionale e ininterpretabile”.
Satura
Gli anni sessanta e settanta,
costituiscono lo sfondo della seconda stagione poetica montaliana.
Dopo la seconda guerra mondiale e i primi difficili tempi della ricostruzione, lo sviluppo capitalistico e il progresso tecnologico danno vita a una società di massa a cui Montale guarda con un distacco aristocratico e nostalgico. Il mondo che incontriamo in Satura, è ormai ridotto a detriti, a scorie, e il negativo è ancor più forte in quanto ormai dilagante.
Dopo la seconda guerra mondiale e i primi difficili tempi della ricostruzione, lo sviluppo capitalistico e il progresso tecnologico danno vita a una società di massa a cui Montale guarda con un distacco aristocratico e nostalgico. Il mondo che incontriamo in Satura, è ormai ridotto a detriti, a scorie, e il negativo è ancor più forte in quanto ormai dilagante.
Il titolo Satura,
per ammissione dello stesso Montale, ha più significati:
- allude alla vena satirica che percorre la raccolta;
- e allude pure al sintagma latino satura lanx, che stava a indicare prima “ un piatto pieno di cibi diversi”;
- e poi anche un genere letterario caratterizzato dalla varietà di metri e di temi.
Il rovesciamento
linguistico
In questa nuova stagione poetica
il linguaggio di Montale si trasforma, lo stile viene rovesciato: il lessico
tende al basso, al prosastico, e può essere definito grosso modo un lessico
quotidiano.

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