
(Roma, 1912 - 1985)
Nata - come i suoi tre
fratelli minori - da una relazione extraconiugale della madre, Irma Poggibonsi,
con Francesco Lo Monaco, trascorre l’infanzia in casa di Augusto Morante,
istitutore al riformatorio per minorenni e suo padre soltanto nominalmente.
Terminato il liceo,
l’adolescente Elsa va via da casa: per mantenersi, dà lezioni private ed inizia
a collaborare con diverse testate giornalistiche.
E’ tuttavia con il suo primo romanzo, “Menzogna
e sortilegio” (1948), che ella s’impone all’attenzione generale. Nel narrare i
casi d’una benestante famiglia meridionale destinata alla decadenza, tramite lo
sguardo febbrile e tormentato d’una giovane donna isolatasi dal mondo, la
Morante s’allontana in maniera assai netta dall’imperante modello
neorealistico: si precisa, da subito, la sua predilezione per il magico e la
fantasticheria, in una chiave tuttavia caricata d’angoscia dal confronto coi
dati della realtà.
Il medesimo tema è al
centro del successivo “L’isola di Arturo” (1957), ove lancinante è lo scarto
fra l’infanzia serenamente immersa nella natura del protagonista ed il dolore
figliato dalla fine della mitizzazione della figura paterna: in questa
dimensione edenica che inevitabilmente si dissolve nel contatto con la
consapevolezza, risiede il nucleo dolente della poetica dell’autrice.
Il rifiuto della
“storia ufficiale”, l’aperto parteggiare per gli umiliati e offesi -
caratterizza pure “La storia” (1974), l’opera sua di maggior successo, in virtù
d’un linguaggio piano e semplice e di una trama - le vicende d’una famigliola
romana durante la tragedia del secondo conflitto mondiale - coinvolgente, con
qualche concessione al populismo.
Il commiato di “Aracoeli”
(1982) è all’insegna di un pessimismo irredimibile, d’una disperazione lucida
che neppure nel ricordo trova conforto: l’itinerario nella memoria di Manuele,
proteso a ricostruire l’adorata immagine materna, si chiude nella constatazione
che fra lui e la genitrice “si stende una sassaia deserta”. La stessa,
probabilmente, che divide ormai da tutto e tutti Elsa Morante, costretta per
parecchi anni ad una dolorosa immobilità in clinica prima di spegnersi, nel
1985.
Menzogna
e sortilegio
Scritto tra il 1944 e
il 1946, pubblicato nel 1948, “Menzogna e sortilegio” è l’opera che impose Elsa
Morante alla critica. Premio Viareggio dello stesso anno, il romanzo riprende i
grandi modelli della tradizione, da Stendhal a Tolstoj, in cui la narrazione
diventa specchio della società umana.
Centro del racconto è
la decadenza di una famiglia gentilizia meridionale, ricostruita dalla voce
allucinata d’Elisa, una giovane donna rinchiusa nella sua stanza. La storia ha
inizio con il matrimonio della nonna di quest’ultima, Cesira, con Teodoro
Massia, discendente di una ricca famiglia aristocratica presso la quale la
donna lavorava come istitutrice.
La figlia dei due, Anna, cresce con il mito d’Edoardo, il
bel cugino, tenebroso e irascibile figlio di Concetta, la sorella più ricca di
Teodoro. Tra i giovani s’instaura un rapporto particolare, un sentimento
ambiguo che li lega. Caro amico d’Edoardo è Francesco Di Salvo, figlio di
contadini che finge d’essere aristocratico e se la spassa con la bella Rosaria,
esuberante fanciulla che finisce per attrarre pure Edoardo. Tra gelosie,
inganni e risentimenti, Francesco
sposa Anna e dalle nozze nasce Elisa,
mentre Edoardo si ammala e si chiude in un mondo di paure e fantasmi.
Dopo molti anni,
Rosaria diventa amica e maestra di vita di Elisa che, nel frattempo, ha perso
il padre, morto in un incidente sul lavoro, e in qualche modo anche la madre,
consumata dalla malattia ed ossessionata da misteriose lettere un tempo
scambiate con l'amato cugino.
L'isola di Arturo
Pubblicato nel 1957,
“L’isola di Arturo” segna il passaggio di Elsa Morante al "realismo
magico", al racconto che si trasfigura nell’allegoria. Sull’isola di
Procida, non lontano da Napoli, Arturo
trascorre l’infanzia e la giovinezza in un microcosmo fatto di mare, sogni e
fantasie infantili. Nell’immaginario del bambino la madre, morta nel metterlo
al mondo, aveva scelto per lui il nome d’una stella e di un antico re della
Bretagna.
Il padre Wilhelm, bello e biondo, è per lui come
un dio, da contemplare con devozione nonostante la sua indifferenza ed il suo
egoismo. Educato dall’amico quindicenne Silvestro e dalla natura, Arturo
racconta il proprio percorso di formazione alla vita adulta, che giunge
fatalmente a compimento con l’arrivo sull’isola di Nunziatina, la giovanissima sposa del padre capace di turbare
profondamente l’animo suo.
Madre-matrigna ed allo
stesso tempo bambina, la bella Nunziata incarna, agli occhi d’Arturo, una
femminilità materna e sensuale. I baci suoi si trasfigurano in quelli d’amante,
segnando la fine dell’infanzia: è così che il ragazzo, divenuto uomo, abbandona
l’isola della giovinezza, pronto per affrontare il mondo con infinita nostalgia
per quella piccola terra che “fu tutto”.
La storia
Pubblicato nel 1974,
direttamente in edizione economica per volontà dell’autrice, “La Storia” è uno
dei più begli affreschi dell’Italia nella seconda guerra mondiale.
Capolavoro d’ampio
respiro per la cura dell’ambientazione e la lungimiranza della
rappresentazione, che contrappone il mondo umile delle piccole cose a quello
della Storia fatto di morte e scempi, il romanzo narra le vicende belliche, dal
1941 al 1947, attraverso le vicende d’una povera famiglia romana composta da
una donna spaurita, un adolescente, un bambino e due cani. Roma è distrutta
dalla guerra: Ida Ramundo, maestra
elementare, è vedova ed abita nel quartiere di San Lorenzo col figlio Nino.
Dall’incontro con un
soldato tedesco smarrito, col quale ha un fuggevole rapporto, nasce Giuseppe, una piccola gioia nella
misera vita della donna.
In seguito ai
bombardamenti ed al trasferimento a Pietralata, in un grande rifugio per i
senza tetto, Nino si convince ad arruolarsi nelle camice nere, per un vano
desiderio di riscatto. Tornerà, poi, da partigiano, assieme a Carlo Vivaldi,
anarchico che si rivelerà essere l'ebreo David
Segre.
Finita la guerra Nino,
incapace d’accettare il ritorno alla normalità, continuerà la lotta armata
contro il nuovo ordine, finendo per perire in un conflitto a fuoco; anche David
morrà, ucciso dalla droga. La madre, disperata, riversa tutto il suo affetto
sul piccolo Giuseppe, malato d’epilessia. Davanti alla crisi fatale, la donna,
impotente, impazzisce, e resta immobile a vegliare il corpo del figlio.
Aracoeli
Scritto nel 1982,
“Aracoeli” è l’ultimo, intenso, romanzo di Elsa Morante.
Tema centrale, costante
nell’opera dell’autrice, è il mistero del legame madre-figlio.
Con una prosa magica ed
evocativa, l'autrice - attraverso un io narrante angosciato e deluso -
tratteggia il ritratto doloroso d’un “diverso” e del suo viaggio, reale e della
memoria, alla ricerca della madre perduta e irraggiungibile.
Manuel, non più giovane, vive in solitudine, angosciato dalla
propria bruttezza ed omosessualità, e decide di andare a cercare il senso della
propria esistenza nella terra natale della madre andalusa, di nome Aracoeli, ormai morta da anni. Sulla
spinta di un “enthusiasmos”, quasi guidato da un disegno divino, sulle note
della memoria, Manuel parte da Milano per El Almendral, un piccolissimo
villaggio nel territorio di Almeria:
“El
Almendral io non lo trovai su nessuna carta. Ma intanto quel minimo punto
periferico, ignorato dalla geografia, da ultimo era diventato l'unica stazione
terrestre che indicasse una direzione al mio corpo disorientato. Il suo era un
richiamo senza nessuna promessa, né speranza. Sapevo, al di là di ogni dubbio,
che esso non mi proveniva dalla ragione, ma da una nostalgia dei sensi, tale
che nemmeno la certezza della sua esistenza non mi era una condizione
necessaria.”
Ha
così inizio il viaggio della memoria tra i ricordi dell’infanzia e le
impressioni della maturità, in una continua sovrapposizione di luoghi ed
immagini alla coscienza presente del fallimento di un uomo “forastico e
misantropo”.
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