lunedì 14 gennaio 2013

Elsa Morante




(Roma, 1912 - 1985)
Nata - come i suoi tre fratelli minori - da una relazione extraconiugale della madre, Irma Poggibonsi, con Francesco Lo Monaco, trascorre l’infanzia in casa di Augusto Morante, istitutore al riformatorio per minorenni e suo padre soltanto nominalmente.
Terminato il liceo, l’adolescente Elsa va via da casa: per mantenersi, dà lezioni private ed inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche.
 E’ tuttavia con il suo primo romanzo, “Menzogna e sortilegio” (1948), che ella s’impone all’attenzione generale. Nel narrare i casi d’una benestante famiglia meridionale destinata alla decadenza, tramite lo sguardo febbrile e tormentato d’una giovane donna isolatasi dal mondo, la Morante s’allontana in maniera assai netta dall’imperante modello neorealistico: si precisa, da subito, la sua predilezione per il magico e la fantasticheria, in una chiave tuttavia caricata d’angoscia dal confronto coi dati della realtà.
Il medesimo tema è al centro del successivo “L’isola di Arturo” (1957), ove lancinante è lo scarto fra l’infanzia serenamente immersa nella natura del protagonista ed il dolore figliato dalla fine della mitizzazione della figura paterna: in questa dimensione edenica che inevitabilmente si dissolve nel contatto con la consapevolezza, risiede il nucleo dolente della poetica dell’autrice.
Il rifiuto della “storia ufficiale”, l’aperto parteggiare per gli umiliati e offesi - caratterizza pure “La storia” (1974), l’opera sua di maggior successo, in virtù d’un linguaggio piano e semplice e di una trama - le vicende d’una famigliola romana durante la tragedia del secondo conflitto mondiale - coinvolgente, con qualche concessione al populismo.
Il commiato di “Aracoeli” (1982) è all’insegna di un pessimismo irredimibile, d’una disperazione lucida che neppure nel ricordo trova conforto: l’itinerario nella memoria di Manuele, proteso a ricostruire l’adorata immagine materna, si chiude nella constatazione che fra lui e la genitrice “si stende una sassaia deserta”. La stessa, probabilmente, che divide ormai da tutto e tutti Elsa Morante, costretta per parecchi anni ad una dolorosa immobilità in clinica prima di spegnersi, nel 1985.


Menzogna e sortilegio

Scritto tra il 1944 e il 1946, pubblicato nel 1948, “Menzogna e sortilegio” è l’opera che impose Elsa Morante alla critica. Premio Viareggio dello stesso anno, il romanzo riprende i grandi modelli della tradizione, da Stendhal a Tolstoj, in cui la narrazione diventa specchio della società umana.
Centro del racconto è la decadenza di una famiglia gentilizia meridionale, ricostruita dalla voce allucinata d’Elisa, una giovane donna rinchiusa nella sua stanza. La storia ha inizio con il matrimonio della nonna di quest’ultima, Cesira, con Teodoro Massia, discendente di una ricca famiglia aristocratica presso la quale la donna lavorava come istitutrice.
La figlia dei due, Anna, cresce con il mito d’Edoardo, il bel cugino, tenebroso e irascibile figlio di Concetta, la sorella più ricca di Teodoro. Tra i giovani s’instaura un rapporto particolare, un sentimento ambiguo che li lega. Caro amico d’Edoardo è Francesco Di Salvo, figlio di contadini che finge d’essere aristocratico e se la spassa con la bella Rosaria, esuberante fanciulla che finisce per attrarre pure Edoardo. Tra gelosie, inganni e risentimenti, Francesco sposa Anna e dalle nozze nasce Elisa, mentre Edoardo si ammala e si chiude in un mondo di paure e fantasmi.
Dopo molti anni, Rosaria diventa amica e maestra di vita di Elisa che, nel frattempo, ha perso il padre, morto in un incidente sul lavoro, e in qualche modo anche la madre, consumata dalla malattia ed ossessionata da misteriose lettere un tempo scambiate con l'amato cugino.


L'isola di Arturo

Pubblicato nel 1957, “L’isola di Arturo” segna il passaggio di Elsa Morante al "realismo magico", al racconto che si trasfigura nell’allegoria. Sull’isola di Procida, non lontano da Napoli, Arturo trascorre l’infanzia e la giovinezza in un microcosmo fatto di mare, sogni e fantasie infantili. Nell’immaginario del bambino la madre, morta nel metterlo al mondo, aveva scelto per lui il nome d’una stella e di un antico re della Bretagna.
Il padre Wilhelm, bello e biondo, è per lui come un dio, da contemplare con devozione nonostante la sua indifferenza ed il suo egoismo. Educato dall’amico quindicenne Silvestro e dalla natura, Arturo racconta il proprio percorso di formazione alla vita adulta, che giunge fatalmente a compimento con l’arrivo sull’isola di Nunziatina, la giovanissima sposa del padre capace di turbare profondamente l’animo suo.
Madre-matrigna ed allo stesso tempo bambina, la bella Nunziata incarna, agli occhi d’Arturo, una femminilità materna e sensuale. I baci suoi si trasfigurano in quelli d’amante, segnando la fine dell’infanzia: è così che il ragazzo, divenuto uomo, abbandona l’isola della giovinezza, pronto per affrontare il mondo con infinita nostalgia per quella piccola terra che “fu tutto”.



La storia

Pubblicato nel 1974, direttamente in edizione economica per volontà dell’autrice, “La Storia” è uno dei più begli affreschi dell’Italia nella seconda guerra mondiale.
Capolavoro d’ampio respiro per la cura dell’ambientazione e la lungimiranza della rappresentazione, che contrappone il mondo umile delle piccole cose a quello della Storia fatto di morte e scempi, il romanzo narra le vicende belliche, dal 1941 al 1947, attraverso le vicende d’una povera famiglia romana composta da una donna spaurita, un adolescente, un bambino e due cani. Roma è distrutta dalla guerra: Ida Ramundo, maestra elementare, è vedova ed abita nel quartiere di San Lorenzo col figlio Nino.
Dall’incontro con un soldato tedesco smarrito, col quale ha un fuggevole rapporto, nasce Giuseppe, una piccola gioia nella misera vita della donna.
In seguito ai bombardamenti ed al trasferimento a Pietralata, in un grande rifugio per i senza tetto, Nino si convince ad arruolarsi nelle camice nere, per un vano desiderio di riscatto. Tornerà, poi, da partigiano, assieme a Carlo Vivaldi, anarchico che si rivelerà essere l'ebreo David Segre.
Finita la guerra Nino, incapace d’accettare il ritorno alla normalità, continuerà la lotta armata contro il nuovo ordine, finendo per perire in un conflitto a fuoco; anche David morrà, ucciso dalla droga. La madre, disperata, riversa tutto il suo affetto sul piccolo Giuseppe, malato d’epilessia. Davanti alla crisi fatale, la donna, impotente, impazzisce, e resta immobile a vegliare il corpo del figlio.


Aracoeli

Scritto nel 1982, “Aracoeli” è l’ultimo, intenso, romanzo di Elsa Morante.
Tema centrale, costante nell’opera dell’autrice, è il mistero del legame madre-figlio.
Con una prosa magica ed evocativa, l'autrice - attraverso un io narrante angosciato e deluso - tratteggia il ritratto doloroso d’un “diverso” e del suo viaggio, reale e della memoria, alla ricerca della madre perduta e irraggiungibile.
Manuel, non più giovane, vive in solitudine, angosciato dalla propria bruttezza ed omosessualità, e decide di andare a cercare il senso della propria esistenza nella terra natale della madre andalusa, di nome Aracoeli, ormai morta da anni. Sulla spinta di un “enthusiasmos”, quasi guidato da un disegno divino, sulle note della memoria, Manuel parte da Milano per El Almendral, un piccolissimo villaggio nel territorio di Almeria:

“El Almendral io non lo trovai su nessuna carta. Ma intanto quel minimo punto periferico, ignorato dalla geografia, da ultimo era diventato l'unica stazione terrestre che indicasse una direzione al mio corpo disorientato. Il suo era un richiamo senza nessuna promessa, né speranza. Sapevo, al di là di ogni dubbio, che esso non mi proveniva dalla ragione, ma da una nostalgia dei sensi, tale che nemmeno la certezza della sua esistenza non mi era una condizione necessaria.”
Ha così inizio il viaggio della memoria tra i ricordi dell’infanzia e le impressioni della maturità, in una continua sovrapposizione di luoghi ed immagini alla coscienza presente del fallimento di un uomo “forastico e misantropo”.

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