lunedì 14 gennaio 2013

Carlo Emilio Gadda



Nato nel 1893 a Milano da una famiglia della media borghesia, compie nella città natale i suoi studi, iscrivendosi nel 1912 alla facoltà di ingegneria del Politecnico.
Partecipa, volontario, alla prima guerra mondiale: fatto prigioniero, trae dall’esperienza spunto per un “Giornale di guerra e di prigionia”, che sarà pubblicato nel 1955.
Laureatosi, svolge la propria professione in Italia ed all’estero.
Dal 1926, inizia a collaborare con la rivista “Solaria”, per le cui edizioni escono “La Madonna dei filosofi” (1931) e “Il castello di Udine” (1934), sue prime opere narrative.
Nel 1940 si trasferisce da Milano a Firenze e vi resta per un decennio: è del ‘44 “L’Adalgisa”, raccolta di racconti a carattere satirico sulla borghesia meneghina dei primi del secolo.
Dal 1950 è a Roma, dove lavora per un lustro ai servizi culturali del terzo programma radiofonico: nel corso di questo periodo, escono “Il primo libro delle favole” (1952) e “Novelle dal ducato in fiamme” (1953), grottesco sul periodo terminale del fascismo.
Nel 1957 (ma era già apparso a puntate, su “Letteratura”, nel 1946-47), dà alle stampe il suo primo capolavoro, “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. Adoperando l’ossatura del giallo, Gadda compone uno straordinario ritratto dell’urbe capitolina immersa nel clima di debilitazione morale e ferocia endogena instaurato da Mussolini, di assoluta originalità il linguaggio, che ibrida magistralmente vari dialetti con lemmi e termini della lingua colta, in un impasto d’efficacia e potenza ineguagliabile.
Seguono i saggi, le divagazioni, le note a carattere autobiografico riunite ne “I viaggi la morte” (1958) e “Le meraviglie d’Italia” (1964), oltre a “I racconti. Accoppiamenti giudiziosi 1924-1958” (1963).
Nello stesso anno, compare in volume “La cognizione del dolore” , che si aggiudica il premio internazionale Formentor e viene accolta da entusiastici giudizi della critica. Ambientata in un immaginario paese sudamericano che lascia vedere in filigrana la toponomastica brianzola, la trama verte sulla figura dell’hidalgo Don Gonzalo - trasparente proiezione dell’autore medesimo - e del suo tormentato rapporto con la madre, altalenante fra il disprezzo ed una dolente forma di affetto. Espresso con le consuete pirotecnie linguistiche, il nucleo dell’opera risiede nel distacco dalla falsità della società neocapitalistica, raffigurata nei vuoti riti dei “beati possidentes”, cui si contrappone la pena figliata dalla consapevolezza, quel “male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d’una vita, più greve ogni giorno, immedicato”. Tra i molti lavori minori successivi, spicca “Eros e Priapo” (1967), folgorante pamphlet  sui miti del ventennio fascista. Nel 1973, all’età di ottant’anni, Carlo Emilio Gadda si spegne a Roma.


Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Apparso in "Letteratura" nell'immediato dopoguerra, il “Pasticciaccio” fu scritto a Firenze nel ricordo dei soggiorni romani, ispirandosi ad un fatto di cronaca nera. Ambientato a Roma nel 1927, il romanzo è incentrato sulla figura del commissario Francesco Ingravallo, meglio conosciuto come "Don Ciccio":

“uno dei più giovani e invidiati funzionari della sezione investigativa. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po’ tozzo, di capelli neri e folti e crespati che gli venivan fuori dalla metà della fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sol d’Italia, aveva un’aria un po’ assonnata, un’andatura greve e dinoccolata…vestito come il magro onorario gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d’olio sul bavero.”

Il commissario è una sorta di alter ego dello scrittore, animato da una profonda passione per la filosofia e da una visione del mondo personale basata sulla "molteplicità delle causali", ossia sul groviglio, lo "gnommero" in dialetto romanesco, di cause che determinano gli avvenimenti:

"sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo. Ma il termine giuridico "le causali, la causale" gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia".

Don Ciccio deve risolvere il caso di un furto in via Merulana 219 e l'assassinio di Liliana Balducci, sua amica e inquilina del palazzo. Il giallo resta senza soluzione, con una molteplicità di possibilità aperte che rispecchiano in modo paradossale la visione dell'esistenza del commissario.
Attraverso l'uso di un registro linguistico tutto nuovo, Gadda si scaglia contro la società burocratica e ottusa della borghesia fascista ed i suoi falsi miti: in particolare, quello della famiglia, che, dietro l'aspetto solido, nasconde violenza e sopraffazione.
Attratto dalla complessità del mondo, l'autore usa la letteratura come forma di conoscenza e la lingua come strumento d’analisi: da qui, la creazione di un linguaggio "mimetico" del reale che ne riflette voci, inflessioni, dissonanze.



La cognizione del dolore

“La cognizione del dolore”, l'opera più autobiografica della produzione gaddiana, pubblicata parzialmente a puntate su “Letteratura” tra il 1938 e il 1941, appare per la prima volta in volume nel 1963.
Al centro del romanzo, costruito su un complesso intreccio, è il dramma di Gonzalo, malato nell’anima di un "male oscuro": un misantropo radicale, cresciuto nel dolore a causa della dura educazione, le ristrettezze economiche, la morte del padre, e quella del fratello in guerra. Gonzalo si sente oltraggiato, “respinto”, dalla vita, e reagisce, per difendersi, rifiutando tutti gli altri, colpevoli di non aver conosciuto il "lento pallore della negazione".
La “rancura” di Gonzalo è particolarmente violenta nei confronti della causa principe del male, la Madre, responsabile, tra l'altro, della dispersione dei pochi beni superstiti della famiglia. Nasce così il "pensiero orribile" di punirla, infliggendole una morte violenta per mano di terzi. La madre, però, almeno per un momento, nel delirio dell’agonia, ingannata dalla somiglianza di statura e di corporatura tra Gonzalo ed il vero aggressore, crederà "di essere stata uccisa dal figlio". L'identità della mano omicida non viene svelata: resta "il dolore eterno".
Il prologo colloca la vicenda tra il 1925 e il 1933, in un immaginario paese ispanofono sudamericano, il Maradagàl, da poco uscito da una "aspra guerra" con il vicino Parapagàl. In Maradagàl è obbligatoria l'adesione a "associazioni provinciali di vigilanza per la notte", Nistitúos, per evitare ritorsioni spietate, furti, aggressioni e forse omicidi; oltre al ricordo dello squadrismo, i Nisitúos simboleggiano gli obblighi gratuiti, le coercizioni infondate, i vincoli alla libertà personale detestati dall'autore.
Gonzalo abita con la madre in una villa, in cui si riconosce l'esplicito cenno autobiografico alla villa di Longone in Brianza, dimora di Gadda, diventata immagine della sua straziante, "incenerita giovinezza".
Il racconto si svolge, poi, in sei scene:
ü  la visita medica, che è essenzialmente un dialogo a carattere filosofico tra Gonzalo e il medico condotto del paese;
ü  la scena del temporale, in cui viene rappresentata la quotidianità dolorante della madre in uno dei tanti pomeriggi sempre identici di fine estate, interrotto da un acquazzone;
ü  la scena della sera, in cui il protagonista torna dalla città e davanti a una misera cena riflette sulla propria condizione, dall’allucinata evocazione del destino degli “altri”, degli “arrivati”, dei favoriti dalla sorte
ü  la meditazione sulla propria non-vita
ü  La parte finale si divide tra: il pomeriggio in villa in cui il protagonista minaccia di morte la madre
ü  e la notte dello stesso giorno dell'aggressione.
Nella “Cognizione del dolore”, attraverso la figura dell'ingegnere Gonzalo Pirobutirro, l'autore ricerca le ragioni "oscure e vivide" del suo atroce rancore di figlio dalla natura "difettiva", del suo odio verso l'ipocrita "imbecillaggine generale del mondo" e della sua tragica, "orrida solitudine" con un linguaggio che unisce italiano letterario e aulico, dialetto lombardo popolare e borghese, spagnolo, ricco di tecnicismi, arcaismi e neologismi, trasmettendo al lettore terribili e straordinarie emozioni. 

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