( Roma, 1907-1990)
Moravia non riuscì a
compiere studi regolari perché nel 1916, all'età di nove anni, venne colpito da
una seria forma di tubercolosi ossea che lo costrinse a letto per ben cinque
anni, tre dei quali trascorsi a casa e due presso il sanatorio Codivilla di
Cortina d'Ampezzo. Come i fratelli, frequenta per un anno il liceo Tasso
conseguendo "a mala pena" la licenza ginnasiale, che costituirà il
suo unico titolo di studio. Dotato di viva intelligenza, non potendo condurre
la vita dei ragazzi della sua età, Alberto ebbe molto tempo per la lettura
Dopo alcune
collaborazioni alla rivista “900”
di Bontempelli, debutta con quello che, a parere di più di un critico, resta il
suo romanzo più significativo, “Gli indifferenti” (1929).
Nel mettere in scena
l’atonia spirituale, il torpore morale, la sessualità morbosa e sfatta di
personaggi della borghesia egemone, egli mina alle fondamenta l’oleografica
rappresentazione della “sanità morale” della nazione, rivendicata dal fascismo
quale risultato dell’imperante “ordine”. Sul piano dei contenuti, l’autore
ritorna sul personaggio dell’inadeguato a vivere, ricollegandosi alla
tradizione letteraria di uno Svevo o di un Borgese; sotto il profilo formale,
infine, sperimenta per la prima volta la propria prosa fredda, simile ad un
referto medico, in manifesto contrasto con quella di derivazione solariana.
Tra i suoi autori
preferiti vi furono Dostoevskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière, Mallarmé
e molti altri. Imparò con facilità il francese e il tedesco e iniziò a scrivere
versi in francese e in italiano.
La successiva - e
copiosa - produzione moraviana si muoverà costantemente lungo i sentieri
tracciati dal suo eccezionale esordio. Simile a quei pittori che per tutta la
vita dipingono lo stesso volto di donna o la stessa bottiglia, il Nostro si
produce infatti in un’infinita teoria di variazioni sui medesimi temi:
protagonista, un’umanità incapace di slanci, chiusa nell’angusto perimetro
delimitato da sesso e danaro, condannata a esistere senza luce o speranze.
Stilisticamente, egli perfeziona la formula del romanzo-saggio, con risultati a volte notevoli adoprando strumenti d’analisi via via più sofisticati (il marxismo, la psicanalisi, le scienze sociologiche e delle comunicazioni di massa): in seguito, egli sembra dedicarsi al perfezionamento ed all’amplificazione del monologo interiore, tipico della grande narrativa del XX° secolo.
Stilisticamente, egli perfeziona la formula del romanzo-saggio, con risultati a volte notevoli adoprando strumenti d’analisi via via più sofisticati (il marxismo, la psicanalisi, le scienze sociologiche e delle comunicazioni di massa): in seguito, egli sembra dedicarsi al perfezionamento ed all’amplificazione del monologo interiore, tipico della grande narrativa del XX° secolo.
Nel 1941 il romanzo La mascherata verrà sequestrato in
occasione della seconda edizione. Da questo momento sarà costretto a pubblicare
i suoi articoli sui giornali e sulle riviste sotto pseudonimo. La mascherata è
una violenta satira che prende di mira il regime fascista indirettamente
parlando di una inventata dittatura sudamericana.
Nel 1941 si sposò in
chiesa con la scrittrice Elsa Morante. Dopo gli avvenimenti dell'8 settembre
del 1943 si rifugiò con la moglie a Sant'Agata (nel territorio di Fondi, a nord
della frazione San Magno), un villaggio montano di pastori provenienti da
Vallecorsa (Ciociaria) presso la famiglia Marrocco-Mirabella, da questa
esperienza e dal rapporto con questa famiglia nascerà il romanzo La ciociara.
Gli
indifferenti
Primo romanzo di
Alberto Moravia, scritto tra il 1925 e il 1928, “Gli indifferenti” è un dramma
borghese che mette in scena due giorni della vita di una famiglia, composta da
Mariagrazia Ardengo, vedova, con i due figli ventenni Carla e Michele, più
l’amante della madre, Leo Merumeci. Gli Ardengo sono sull’orlo della crisi
economica e l’avido Leo ne approfitta: dopo aver dilapidato il patrimonio di
Mariagrazia, ora vuole prendersi anche la villa di famiglia, approfittando
della scadenza di un’ipoteca. Quel che i figli vedono, vale a dire che l’uomo è
un avventuriero che sfrutta la madre per il suo bieco interesse, la donna non
vuol sapere, accecata dalla passione amorosa e dalla gelosia.
I cinque, riuniti
all’ora di cena, ripetono una recita sempre uguale di ipocrisia e monotonia, di
noia: i figli che fingono di non sapere che Leo è l’amante della madre, i due
che si danno del lei, Carla che accetta le avances di Leo pensando che forse il
massimo dell’abiezione può essere comunque una via di uscita da tanta
mediocrità, Leo che fa buon viso a cattivo gioco sopportando le lamentele di
Mariagrazia per arrivare alla figlia. Solo Michele tenta di ribellarsi,
vorrebbe compiere “un gesto” risolutore, ma è sopraffatto dalla sua
indifferenza.
Capolavoro d’analisi e
lucidità, il romanzo propone i temi principali della narrativa di Moravia: il
comportamento sessuale ed il rapporto con il denaro come chiave interpretativa
della realtà umana e la rappresentazione della debolezza della volontà,
malattia esistenziale che condanna all’”indifferenza”, segno del degrado del
“buon senso”. Da qui la critica al mondo borghese, che è un effetto e non lo
scopo dell’autore: “Se per critica antiborghese s’intende un chiaro concetto
classista, niente era più lontano dal mio animo in quel tempo – afferma Moravia
in “L’uomo come fine” (Milano, 1972), a proposito del suo primo romanzo –
Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese
io stesso, ‘Gli indifferenti’ furono tutt’al più un modo per farmi rendere
conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese
è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia”.
Agostino
Pubblicato nel 1944,
quando Moravia tornò a Roma al seguito delle truppe alleate, il romanzo breve
“Agostino” ottenne la consacrazione della critica e del pubblico e valse
all’autore il suo primo premio letterario: il Corriere Lombardo.
Storia di un’iniziazione
sessuale che prende il nome dal protagonista, “Agostino” racconta il
progressivo cambiamento del rapporto tra madre e figlio alla luce della
sessualità. Agostino ha tredici anni, è ancora un bambino, incantato dalla
bellezza della madre vedova. La mamma è tutto il suo mondo, Agostino la
contempla e vive per le sue attenzioni, con il “desiderio di seguirla ovunque,
anche in fondo al mare”. Durante una vacanza estiva, l’idillio tra i due si
rompe: l’ammirazione del bambino si trasforma in cupa gelosia e inquietudine,
quando vede la madre mano nella mano con un bagnino. Alla visione casta e
idealizzata di bambino si sostituisce quella dell’adolescente, che scruta il
corpo femminile in un misto d’attrazione e repulsione. Ormai allontanatosi
emotivamente dalla genitrice, Agostino è pronto per il mondo: conosce una banda
di ragazzi del popolo che fanno tutt’altra vita rispetto alla sua di ricco
borghese e gli fanno scoprire il vivere alla giornata, il sesso e gli eccessi.
Il ragazzo percepisce la sua diversità ed è profondamente turbato, ma è ancora
giovane e ha tempo per crescere: “Come un uomo, non poté fare a meno di pensare
prima di addormentarsi. Ma non era un uomo; e molto tempo infelice sarebbe
passato prima che lo fosse”.
La ciociara
Pubblicato nel 1957,
“La ciociara” racconta la storia di una madre ed una figlia, Cesira e Rosetta,
costrette a trascorrere un anno - dal 1943 al 1944 - in prossimità del fronte
del Garigliano.
Cesira è una contadina
ciociara che si è trasferita a Roma con il marito pizzicagnolo, molto più
anziano di lei, che la lascerà vedova. La donna è costretta, così, a gestire il
negozio ed a crescere la figlia Rosetta da sola, servendosi anche della borsa
nera per arrotondare. In seguito all'occupazione tedesca del '43 le due donne,
con due valigie, abbandonano Roma per rifugiarsi a Fondi. Lungo la strada,
però, a causa dei bombardamenti, sono costrette a fermarsi e trascorrere un
anno a Sant'Eufemia in attesa degli Alleati, fermi al fiume Garigliano. Le due
donne vivono la realtà della guerra con il conseguente sovvertimento dei
valori: "Uno dei peggiori effetti delle guerre è di rendere insensibili,
di indurire il cuore, di ammazzare la pietà". Difatti, è proprio con la
liberazione che arriva il peggio: Cesira e Rosetta vengono violentate da un
gruppo di soldati marocchini in una chiesa abbandonata, davanti ad un'immagine
della Madonna rovesciata. La violenza individuale dello stupro si somma alla
violenza collettiva della guerra, distruggendo definitivamente l'innocenza di
Rosetta che comincia a concedersi a tutti gli uomini con determinazione, come
se questo fosse l'unico possibile riscatto.
Raccontato dalla
protagonista, donna del popolo, con il suo linguaggio e la sua visione del
mondo, “La ciociara” è un esempio di straordinaria prosa narrativa, capace di
condensare in un’immagine tutto il dolore e la miseria che una profanazione
come la guerra determina, l’abbrutimento dell’umanità e l’annullamento nella
violenza. Unica figura positiva è il personaggio di Michele, l’idealista, che
le due donne incontrano nell’ultimo atto di resistenza ai tedeschi e che
sapranno alla fine essere stato fucilato: l’eroe che si immola in nome dei suoi
valori, una tenue speranza che un’esperienza simile non si ripeta. Ed è proprio
con Cesira che ricorda la lezione morale di Michele – non a caso, omonimo del
giovane de “Gli indifferenti”, più maturo e consapevole – che il libro si
conclude: “per qualche tempo eravamo state morte anche noi due, Rosetta e io,
morte alla pietà che si deve agli altri e a se stessi. Ma il dolore ci aveva
salvate […] poiché, grazie al dolore, eravamo alla fine, uscite dalla guerra
che ci chiudeva nella sua tomba di indifferenza e di malvagità ed avevamo
ripreso a camminare nella nostra vita, la quale era forse una povera cosa piena
di oscurità e di errore, ma purtroppo la sola che dovessimo vivere, come senza
dubbio Michele ci avrebbe detto se fosse stato con noi.”
La noia
Pubblicato nel 1960, Premio
Viareggio nel 1961, “La noia” è il pannello di mezzo di un trittico ideale, che
ha inizio con “Gli Indifferenti” e si chiude con “La vita interiore”. Romanzo
dalla prosa incisiva, è un ritratto spietato dell’alienazione sociale e di quel
vuoto morale tratteggiato dall’autore nel primo romanzo, che qui è portato alle
estreme conseguenze.
Storia di un disagio esistenziale,
di una serie di fallimenti e delusioni, il romanzo narra l’esperienza di Dino,
che, nei panni d’artista, di uomo e di amante, si scontra con l’impossibilità
della realtà: “Per molti la noia è il contrario del divertimento; e
divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il
contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi
aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca
distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia,
per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità
della realtà”. Così il protagonista definisce la “noia” che lo affligge sin da
quando era bambino, causandogli difficoltà negli studi e che ora, in età
adulta, diventato pittore, gli impedisce di dipingere. Imputando l’origine
della noia alla sua ricchezza e alle cure materne, Dino abbandona la casa sulla
via Appia per trasferirsi in uno studio in via Margutta: qui avvengono gli
incontri amorosi con Cecilia, ex amante di Balestrieri, un pittore più anziano
che è per il giovane modello ed alter ego. Pure la relazione con la donna
amata, che si riduce al solo sesso, è vissuta dal protagonista come un
sentimento morto, vuoto, finché la ragazza non trova un altro uomo. A quel
punto, Dino impazzisce di gelosia e comincia a pedinarla, meschino e disperato
al punto da arrivare al tentativo di ucciderla per renderla, con la morte,
definitivamente sua. Ma, come Michele ne “Gli Indifferenti”, sarà sopraffatto
dalla propria incapacità e solo alla fine, dopo un tentativo fallito di
suicidio, all’ospedale, capirà di poter amare Cecilia.
La romana
Alla sua
uscita venne definito dalla critica come uno dei migliori dell'ultima
narrativa. Descrive impeccabilmente un ambiente corrotto, vacuo, frequentato da
protagonisti che conducono un'esistenza priva di vere e integre ragioni morali.
Al centro della vicenda emerge la figura di Adriana, donna di
malcostume, ma meno colpevole e squallida di coloro che la circondano.
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