domenica 13 gennaio 2013

Alberto Moravia (pseud. di Alberto Pincherle)




( Roma, 1907-1990)
Moravia non riuscì a compiere studi regolari perché nel 1916, all'età di nove anni, venne colpito da una seria forma di tubercolosi ossea che lo costrinse a letto per ben cinque anni, tre dei quali trascorsi a casa e due presso il sanatorio Codivilla di Cortina d'Ampezzo. Come i fratelli, frequenta per un anno il liceo Tasso conseguendo "a mala pena" la licenza ginnasiale, che costituirà il suo unico titolo di studio. Dotato di viva intelligenza, non potendo condurre la vita dei ragazzi della sua età, Alberto ebbe molto tempo per la lettura
Dopo alcune collaborazioni alla rivista “900” di Bontempelli, debutta con quello che, a parere di più di un critico, resta il suo romanzo più significativo, “Gli indifferenti” (1929).
Nel mettere in scena l’atonia spirituale, il torpore morale, la sessualità morbosa e sfatta di personaggi della borghesia egemone, egli mina alle fondamenta l’oleografica rappresentazione della “sanità morale” della nazione, rivendicata dal fascismo quale risultato dell’imperante “ordine”. Sul piano dei contenuti, l’autore ritorna sul personaggio dell’inadeguato a vivere, ricollegandosi alla tradizione letteraria di uno Svevo o di un Borgese; sotto il profilo formale, infine, sperimenta per la prima volta la propria prosa fredda, simile ad un referto medico, in manifesto contrasto con quella di derivazione solariana.
Tra i suoi autori preferiti vi furono Dostoevskij, Joyce, Goldoni, Shakespeare, Molière, Mallarmé e molti altri. Imparò con facilità il francese e il tedesco e iniziò a scrivere versi in francese e in italiano.

La successiva - e copiosa - produzione moraviana si muoverà costantemente lungo i sentieri tracciati dal suo eccezionale esordio. Simile a quei pittori che per tutta la vita dipingono lo stesso volto di donna o la stessa bottiglia, il Nostro si produce infatti in un’infinita teoria di variazioni sui medesimi temi: protagonista, un’umanità incapace di slanci, chiusa nell’angusto perimetro delimitato da sesso e danaro, condannata a esistere senza luce o speranze.
Stilisticamente, egli perfeziona la formula del romanzo-saggio, con risultati a volte notevoli adoprando strumenti d’analisi via via più sofisticati (il marxismo, la psicanalisi, le scienze sociologiche e delle comunicazioni di massa): in seguito, egli sembra dedicarsi al perfezionamento ed all’amplificazione del monologo interiore, tipico della grande narrativa del XX° secolo.
Nel 1941 il romanzo La mascherata verrà sequestrato in occasione della seconda edizione. Da questo momento sarà costretto a pubblicare i suoi articoli sui giornali e sulle riviste sotto pseudonimo. La mascherata è una violenta satira che prende di mira il regime fascista indirettamente parlando di una inventata dittatura sudamericana.
Nel 1941 si sposò in chiesa con la scrittrice Elsa Morante. Dopo gli avvenimenti dell'8 settembre del 1943 si rifugiò con la moglie a Sant'Agata (nel territorio di Fondi, a nord della frazione San Magno), un villaggio montano di pastori provenienti da Vallecorsa (Ciociaria) presso la famiglia Marrocco-Mirabella, da questa esperienza e dal rapporto con questa famiglia nascerà il romanzo La ciociara.

Gli indifferenti
Primo romanzo di Alberto Moravia, scritto tra il 1925 e il 1928, “Gli indifferenti” è un dramma borghese che mette in scena due giorni della vita di una famiglia, composta da Mariagrazia Ardengo, vedova, con i due figli ventenni Carla e Michele, più l’amante della madre, Leo Merumeci. Gli Ardengo sono sull’orlo della crisi economica e l’avido Leo ne approfitta: dopo aver dilapidato il patrimonio di Mariagrazia, ora vuole prendersi anche la villa di famiglia, approfittando della scadenza di un’ipoteca. Quel che i figli vedono, vale a dire che l’uomo è un avventuriero che sfrutta la madre per il suo bieco interesse, la donna non vuol sapere, accecata dalla passione amorosa e dalla gelosia.
I cinque, riuniti all’ora di cena, ripetono una recita sempre uguale di ipocrisia e monotonia, di noia: i figli che fingono di non sapere che Leo è l’amante della madre, i due che si danno del lei, Carla che accetta le avances di Leo pensando che forse il massimo dell’abiezione può essere comunque una via di uscita da tanta mediocrità, Leo che fa buon viso a cattivo gioco sopportando le lamentele di Mariagrazia per arrivare alla figlia. Solo Michele tenta di ribellarsi, vorrebbe compiere “un gesto” risolutore, ma è sopraffatto dalla sua indifferenza.
Capolavoro d’analisi e lucidità, il romanzo propone i temi principali della narrativa di Moravia: il comportamento sessuale ed il rapporto con il denaro come chiave interpretativa della realtà umana e la rappresentazione della debolezza della volontà, malattia esistenziale che condanna all’”indifferenza”, segno del degrado del “buon senso”. Da qui la critica al mondo borghese, che è un effetto e non lo scopo dell’autore: “Se per critica antiborghese s’intende un chiaro concetto classista, niente era più lontano dal mio animo in quel tempo – afferma Moravia in “L’uomo come fine” (Milano, 1972), a proposito del suo primo romanzo – Essendo nato e facendo parte di una società borghese ed essendo allora borghese io stesso, ‘Gli indifferenti’ furono tutt’al più un modo per farmi rendere conto di questa mia condizione. […] Che poi sia risultato un libro antiborghese è tutta un’altra faccenda. La colpa o il merito è soprattutto della borghesia”.


 

Agostino
Pubblicato nel 1944, quando Moravia tornò a Roma al seguito delle truppe alleate, il romanzo breve “Agostino” ottenne la consacrazione della critica e del pubblico e valse all’autore il suo primo premio letterario: il Corriere Lombardo.
Storia di un’iniziazione sessuale che prende il nome dal protagonista, “Agostino” racconta il progressivo cambiamento del rapporto tra madre e figlio alla luce della sessualità. Agostino ha tredici anni, è ancora un bambino, incantato dalla bellezza della madre vedova. La mamma è tutto il suo mondo, Agostino la contempla e vive per le sue attenzioni, con il “desiderio di seguirla ovunque, anche in fondo al mare”. Durante una vacanza estiva, l’idillio tra i due si rompe: l’ammirazione del bambino si trasforma in cupa gelosia e inquietudine, quando vede la madre mano nella mano con un bagnino. Alla visione casta e idealizzata di bambino si sostituisce quella dell’adolescente, che scruta il corpo femminile in un misto d’attrazione e repulsione. Ormai allontanatosi emotivamente dalla genitrice, Agostino è pronto per il mondo: conosce una banda di ragazzi del popolo che fanno tutt’altra vita rispetto alla sua di ricco borghese e gli fanno scoprire il vivere alla giornata, il sesso e gli eccessi. Il ragazzo percepisce la sua diversità ed è profondamente turbato, ma è ancora giovane e ha tempo per crescere: “Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addormentarsi. Ma non era un uomo; e molto tempo infelice sarebbe passato prima che lo fosse”.

La ciociara
Pubblicato nel 1957, “La ciociara” racconta la storia di una madre ed una figlia, Cesira e Rosetta, costrette a trascorrere un anno - dal 1943 al 1944 - in prossimità del fronte del Garigliano.
Cesira è una contadina ciociara che si è trasferita a Roma con il marito pizzicagnolo, molto più anziano di lei, che la lascerà vedova. La donna è costretta, così, a gestire il negozio ed a crescere la figlia Rosetta da sola, servendosi anche della borsa nera per arrotondare. In seguito all'occupazione tedesca del '43 le due donne, con due valigie, abbandonano Roma per rifugiarsi a Fondi. Lungo la strada, però, a causa dei bombardamenti, sono costrette a fermarsi e trascorrere un anno a Sant'Eufemia in attesa degli Alleati, fermi al fiume Garigliano. Le due donne vivono la realtà della guerra con il conseguente sovvertimento dei valori: "Uno dei peggiori effetti delle guerre è di rendere insensibili, di indurire il cuore, di ammazzare la pietà". Difatti, è proprio con la liberazione che arriva il peggio: Cesira e Rosetta vengono violentate da un gruppo di soldati marocchini in una chiesa abbandonata, davanti ad un'immagine della Madonna rovesciata. La violenza individuale dello stupro si somma alla violenza collettiva della guerra, distruggendo definitivamente l'innocenza di Rosetta che comincia a concedersi a tutti gli uomini con determinazione, come se questo fosse l'unico possibile riscatto.
Raccontato dalla protagonista, donna del popolo, con il suo linguaggio e la sua visione del mondo, “La ciociara” è un esempio di straordinaria prosa narrativa, capace di condensare in un’immagine tutto il dolore e la miseria che una profanazione come la guerra determina, l’abbrutimento dell’umanità e l’annullamento nella violenza. Unica figura positiva è il personaggio di Michele, l’idealista, che le due donne incontrano nell’ultimo atto di resistenza ai tedeschi e che sapranno alla fine essere stato fucilato: l’eroe che si immola in nome dei suoi valori, una tenue speranza che un’esperienza simile non si ripeta. Ed è proprio con Cesira che ricorda la lezione morale di Michele – non a caso, omonimo del giovane de “Gli indifferenti”, più maturo e consapevole – che il libro si conclude: “per qualche tempo eravamo state morte anche noi due, Rosetta e io, morte alla pietà che si deve agli altri e a se stessi. Ma il dolore ci aveva salvate […] poiché, grazie al dolore, eravamo alla fine, uscite dalla guerra che ci chiudeva nella sua tomba di indifferenza e di malvagità ed avevamo ripreso a camminare nella nostra vita, la quale era forse una povera cosa piena di oscurità e di errore, ma purtroppo la sola che dovessimo vivere, come senza dubbio Michele ci avrebbe detto se fosse stato con noi.” 


La noia
Pubblicato nel 1960, Premio Viareggio nel 1961, “La noia” è il pannello di mezzo di un trittico ideale, che ha inizio con “Gli Indifferenti” e si chiude con “La vita interiore”. Romanzo dalla prosa incisiva, è un ritratto spietato dell’alienazione sociale e di quel vuoto morale tratteggiato dall’autore nel primo romanzo, che qui è portato alle estreme conseguenze.
Storia di un disagio esistenziale, di una serie di fallimenti e delusioni, il romanzo narra l’esperienza di Dino, che, nei panni d’artista, di uomo e di amante, si scontra con l’impossibilità della realtà: “Per molti la noia è il contrario del divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà”. Così il protagonista definisce la “noia” che lo affligge sin da quando era bambino, causandogli difficoltà negli studi e che ora, in età adulta, diventato pittore, gli impedisce di dipingere. Imputando l’origine della noia alla sua ricchezza e alle cure materne, Dino abbandona la casa sulla via Appia per trasferirsi in uno studio in via Margutta: qui avvengono gli incontri amorosi con Cecilia, ex amante di Balestrieri, un pittore più anziano che è per il giovane modello ed alter ego. Pure la relazione con la donna amata, che si riduce al solo sesso, è vissuta dal protagonista come un sentimento morto, vuoto, finché la ragazza non trova un altro uomo. A quel punto, Dino impazzisce di gelosia e comincia a pedinarla, meschino e disperato al punto da arrivare al tentativo di ucciderla per renderla, con la morte, definitivamente sua. Ma, come Michele ne “Gli Indifferenti”, sarà sopraffatto dalla propria incapacità e solo alla fine, dopo un tentativo fallito di suicidio, all’ospedale, capirà di poter amare Cecilia.


 
La romana
Alla sua uscita venne definito dalla critica come uno dei migliori dell'ultima narrativa. Descrive impeccabilmente un ambiente corrotto, vacuo, frequentato da protagonisti che conducono un'esistenza priva di vere e integre ragioni morali. Al centro della vicenda emerge la figura di Adriana, donna di malcostume, ma meno colpevole e squallida di coloro che la circondano.


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