lunedì 14 gennaio 2013

Salvatore Quasimodo



(Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968) è stato un poeta italiano, la cui poetica muove dall'ermetismo, vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1959.
Salvatore Quasimodo nacque a Modica, in provincia di Ragusa, il 20 agosto del 1901 da Gaetano Quasimodo e Clotilde Ragusa. In seguito all'inondazione di Modica del 25-26 settembre 1901, partì per Roccalumera dal nonno Vincenzo.
Salvatore già da bambino fu costretto a spostarsi frequentemente con la propria famiglia al seguito del padre nelle varie stazioni ferroviarie siciliane dove egli era inviato a prestare servizio. 
Subito dopo il terremoto di Messina del 1908 andò a vivere lì, dove il padre era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione. Trascorreva le estati ed il tempo libero a Roccalumera.
A Messina frequentò l'istituto tecnico "Jaci" che dava la possibilità di accedere alle facoltà di Ingegneria e Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, e nel 1919 conseguì il diploma.
Nel 1919 si trasferì a Roma dove pensava di terminare gli studi di ingegneria ma, subentrate precarie condizioni economiche, dovette abbandonarli per impiegarsi come disegnatore tecnico presso un'impresa edile, e in seguito presso un grande magazzino a Bergamo. Nel frattempo collaborò ad alcuni periodici e iniziò lo studio del greco e del latino con la guida di monsignor Rampolla del Tindaro dedicandosi ai classici, destinati anch'essi a divenire per lui fonte di ispirazione.
Nel 1930, assunto come "geometra straordinario" dal Ministero dei Lavori Pubblici, venne assegnato al Genio Civile di Reggio Calabria. Qui strinse amicizia con i fratelli Misefari, entrambi esponenti (il primo comunista, il secondo anarchico) del movimento antifascista di Reggio Calabria, che lo invogliarono a ritornare a scrivere.
Così maturò e affinò il suo gusto per lo stile ermetico, cominciando a dare consistenza alla sua prima raccolta Acque e terre, che pubblicò quello stesso anno per le edizioni di Solaria.
Nel 1931 venne trasferito presso il Genio Civile di Imperia e in seguito presso quello di Genova. In questa città conobbe Camillo Sbarbaro e le personalità di spicco che gravitavano intorno alla rivista Circoli, con la quale il poeta iniziò una proficua collaborazione pubblicando, nel 1932, per le edizioni della stessa, la sua seconda raccolta Oboe sommerso nella quale sono raccolte tutte le poesie scritte tra il 1930 e il 1932 e dove comincia a delinearsi con maggior chiarezza la sua adesione all'ermetismo.
Nel 1938 lasciò il Genio Civile per dedicarsi alla letteratura, iniziò a lavorare per Cesare Zavattini in una impresa di editoria e soprattutto si dedicò alla collaborazione con Letteratura, una rivista vicina all'Ermetismo.
Nel 1938 pubblicò a Milano una raccolta antologica intitolata Poesie, e nel 1939 iniziò la traduzione dei lirici greci. Nel 1941 venne nominato professore di Letteratura italiana presso il Conservatorio di musica "Giuseppe Verdi" di Milano, incarico che mantenne fino alla fine del 1968. Nel 1942 entrerà nella collezione Lo specchio della Arnoldo Mondadori Editore l'opera Ed è subito sera, che inglobava anche le Nuove poesie scritte tra il 1936 e il 1942.
Pur professando chiare idee antifasciste, non partecipò attivamente alla Resistenza.
Nel 1945 si iscrisse al PCI e l'anno seguente pubblicò la nuova raccolta dal titolo Con il piede straniero sopra il cuore, testimonianza dell'impegno morale e sociale dell'autore che continuerà, in modo sempre più profondo, nelle successive raccolte, composte fra il 1949 e il 1958, come La vita non è sogno, Il falso e il vero verde e La terra impareggiabile, che si pongono, con il loro tono epico, come esempio di limpida poesia civile.
Durante questi anni il poeta continuò a dedicarsi con passione all’opera di traduttore sia di autori classici che moderni, e svolse una continua attività giornalistica per periodici e quotidiani, dando il suo contributo soprattutto con articoli di critica teatrale.
Nel 1959 gli fu assegnato il premio Nobel per la letteratura, che gli fece raggiungere una definitiva fama e a cui seguirono le lauree honoris causa dalla Università di Messina nel 1960 e da quella di Oxford nel 1967.
Il poeta trascorse gli ultimi anni di vita compiendo numerosi viaggi in Europa e in America per tenere conferenze e letture pubbliche delle sue liriche che nel frattempo erano state tradotte in diverse lingue. Del 1966 è la pubblicazione di Dare e avere, sua ultima opera.
Nel giugno del 1968, mentre il poeta si trovava ad Amalfi, venne colpito da un ictus (aveva avuto già un infarto mentre visitava la Russia), che lo condusse alla morte dopo pochi giorni all'ospedale di Napoli. Il suo corpo fu trasportato a Milano e seppellito nel Cimitero Monumentale.
Acque e terre
La prima raccolta di Quasimodo, Acque e terre (1930), è incentrata sul tema della sua terra natale, la Sicilia, che l'autore lasciò già nel 1919: l'isola diviene l'emblema di una felicità perduta cui si contrappone l’asprezza della condizione presente, dell’esilio in cui il poeta è costretto a vivere (così in una delle liriche più celebri del libro, Vento a Tindari).
Dalla rievocazione del tempo passato emerge spesso un’angoscia esistenziale che, nella forzata lontananza, si fa sentire in tutta la sua pena. Questa condizione di dolore insopprimibile assume particolare rilievo quando il ricordo è legato ad una figura femminile, come nella poesia Antico inverno.
In questa prima raccolta Quasimodo appare legato a modelli abbastanza riconoscibili (soprattutto D'Annunzio, del quale viene ripresa la tendenza all’identificazione con la natura).
Erato e Apollion, Oboe sommerso
In Oboe sommerso (1932) ed Erato e Apollion (1936) il poeta raggiunge la piena e personale maturità espressiva.
La ricerca della pace interiore è affidata ad un rapporto col divino che è, e resterà successivamente, tormentato, mentre la Sicilia si configura come terra del mito, terra depositaria della cultura greca: non a caso Quasimodo pubblicherà, nel 1940, una notissima traduzione dei Lirici greci.
In particolare, nel libro del 1936 vengono celebrati Apollo - il dio del sole ma anche il dio cui sono legate le Muse, e quindi la stessa creazione poetica che è resa dolorosa dalla distanza fisica dell’isola - ed Ulisse, l’esule per eccellenza. È in queste raccolte che si può cogliere appieno la suggestione dell’ermetismo, di un linguaggio che ricorre spesso all’analogia e tende ad abolire i nessi logici tra le parole: importante è in questo senso l’uso frequente dell’articolo indeterminativo e degli spazi bianchi, che, all’interno della lirica, sembrano rimandare continuamente a una serie di significati nascosti che non possono trovare una piena espressione.


Nuove poesie

Nelle Nuove poesie (pubblicate insieme alle raccolte precedenti nel volume Ed è subito sera del 1942 e scritte a partire dal 1936), il ritmo diventa più disteso grazie anche all’uso più frequente dell’endecasillabo: il ricordo della Sicilia è ancora vivissimo ma si avverte nel poeta un'inquietudine nuova, la voglia di uscire dalla sua solitudine e confrontarsi con i luoghi e le persone della sua vita attuale. In alcune liriche compare infatti il paesaggio lombardo, esemplificato dalla «dolce collina d’Ardenno» che porta all'orecchio del poeta «un fremere di passi umani» (La dolce collina).
Ed è subito sera
La più breve e famosa dell'autore è scritta sotto l'impulso di un'improvvisa folgorazione, secondo il criterio ermetico. La sua struttura è brevissima, con versi liberi molto intensi.

« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. »

In questa poesia il poeta ha racchiuso i tre momenti della vita dell'uomo: la solitudine, derivata dall'incomunicabilità; l'alternarsi della gioia e del dolore; il senso della precarietà della vita. Ognuno, dice il poeta, pur vivendo in mezzo agli uomini (sul cuor della terra) si sente fortemente solo (a causa dell'impossibilità di stabilire un rapporto duraturo con qualcuno). Tuttavia, pur essendo solo, viene stimolato dalle illusioni (un raggio di sole), dalla ricerca di una felicità a volte apparente. Questa ricerca è nello stesso tempo gioia e dolore, perciò il poeta usa il termine "trafitto", cioè, ferito dal raggio di sole stesso. E intanto, come alla luce del giorno succede rapidamente l'oscurità notturna, per la vita dell'uomo giunge la morte: ed è subito sera.
In sé, il tema repentinamente affrontato e risolto nel verso conclusivo, è lo stesso del latino ars longa vita brevis: l'amara constatazione della brevità della vita in rapporto a quello che l'individuo vorrebbe realizzare.

Le  raccolte successive sono segnate da un forte impegno civile e politico sollecitato dalla tragedia della guerra; la poesia rarefatta degli anni giovanili lascia il posto ad un linguaggio più comprensibile, dai ritmi più ampi e distesi. Così avviene in Giorno dopo giorno (1947) dove le vicende belliche costituiscono il tema dominante. La voce del poeta, annichilita di fronte alla barbarie («anche le nostre cetre erano appese», afferma in Alle fronde dei salici), non può che contemplare la miseria della città bombardata, o soffermarsi sul dolore dei soldati impegnati al fronte, mentre affiorano alla memoria delicate figure femminili, simboli di un'armonia ormai perduta (S'ode ancora il mare). 


***

Alle fronde dei salici
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

 Quasimodo in questa poesia esprime tutto il suo odio verso gli “oppressori” e il sacrificio che fa per voto di non scrivere poesie. Alle fronde infatti sono appese le “cetre” che i poeti hanno messo da parte per quel periodo in modo da chiedere al Signore la grazia di far cessare il supplizio nazista. L'autore rievoca i giorni tragici dell'occupazione tedesca in Italia (1943-1945) segnati da violenza, odio, dolore, morte. Quasimodo si riferisce all'eccidio di Marzabotto (29 settembre - 5 ottobre 1944).
In quegli anni, travolto dall'orrore della storia, il poeta non poté far altro che tacere, che votarsi al silenzio. Così come era accaduto agli Ebrei quando, caduti schiavi dei Babilonesi cessarono di cantare le preghiere rituali e appesero i loro strumenti ai rami dei salici in segno di lutto, come si legge nel Salmo 136 (137), al quale la poesia appunto si ispira.
La poesia è suddivisa in due strofe: nella prima il poeta con una domanda retorica sottolinea l'afasia poetica che colpì in quel tragico momento a causa del clima di morte e dolore in cui stavano vivendo; nella seconda, invece, è una dichiarazione che il poeta fa per rispondere alla sua.

***


L'unica speranza di riscatto è allora costituita dalla pietà umana (Forse il cuore). In La vita non è sogno (1949) il Sud è cantato come luogo di ingiustizia e di sofferenza, dove il sangue continua a macchiare le strade (Lamento per il Sud); il rapporto con Dio si configura come un dialogo serrato sul tema del dolore e della solitudine umana.
Il poeta sente l'esigenza di confrontarsi con i propri affetti, con la madre che ha lasciato quand’era ancora un ragazzo (e che continua a vivere la sua vita semplice ed ignara dell'angoscia del figlio ormai adulto), o col ricordo della prima moglie Bice Donetti.
Nella raccolta Il falso e vero verde (1956) dove lo stesso titolo è indicativo di un’estrema incertezza esistenziale, un’intera sezione è dedicata alla Sicilia, ma nel volume trova posto anche una sofferta meditazione sui campi di concentramento che esprime «un no alla morte, morta ad Auschwitz» (Auschwitz).
La terra impareggiabile (1958) mostra un linguaggio più vicino alla cronaca, legato alla rappresentazione della Milano simbolo di quella «civiltà dell'atomo» che porta ad una condizione di devastante solitudine e conferma nel poeta la voglia di dialogare con gli altri uomini, fratelli di dolore. L'isola natia è luogo mitizzato, «terra impareggiabile» appunto, ma è anche memoria di eventi tragici come il terremoto di Messina del 1908 (Al padre).
L'ultima raccolta di Quasimodo, Dare e avere, risale al 1966 e costituisce una sorta di bilancio della propria esperienza poetica ed umana: accanto ad impressioni di viaggio e riflessioni esistenziali molti testi affrontano, in modo più o meno esplicito, il tema della morte, con accenti di notevole intensità lirica.

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