martedì 15 gennaio 2013

Giuseppe Ungaretti




Giuseppe Ungaretti (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è stato un poeta e scrittore italiano.
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, nel quartiere periferico di Moharrem Bey,  l'8 febbraio 1888  da genitori italiani originari di Lucca. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta in un incidente sul lavoro, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot.
L'amore per la poesia nacque durante questo periodo scolastico e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, una domestica croata ed una badante argentina.
In questi anni, attraverso la rivista Mercure de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento a La Voce, alla letteratura italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, quest'ultimo grazie all'amico Moammed Sceab.
Ebbe anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini. Nel 1906 conobbe Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa", un deposito di marmi e legname dipinto di rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti.
Lavorò per qualche tempo come corrispondente commerciale, ma realizzò alcuni investimenti sbagliati; si trasferì poi a Parigi per svolgere gli studi universitari. Nel tragitto vide per la prima volta l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni la Sorbonne e il Collège de France. Venuto a contatto con un ambiente artistico internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, e analoga amicizia strinse anche con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.
Quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19º reggimento di fanteria, quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916, con il titolo Il porto sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti. Trascorse un breve periodo a Napoli, nel 1916 (testimoniato da alcune poesie, per esempio Natale).
Nella primavera del 1918 il reggimento al quale apparteneva Ungaretti andò a combattere in Francia nella zona di Champagne. Al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima come corrispondente del giornale Il Popolo d'Italia, ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana. Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi La guerre, che sarà poi inserita nella seconda raccolta di poesie Allegria di naufragi pubblicata a Firenze nello stesso anno.
Nel 1920 il poeta sposò Jeanne Dupoix, dalla quale avrà due figli, Anna Maria e Antonietto.
Nel 1921 si trasferì a Marino (Roma) e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925.
In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi e italiane e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze, ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale, come il Premio del Gondoliere. Furono questi anche gli anni della maturazione dell'opera Sentimento del Tempo.
A partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del Popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale, raccogliendo il frutto delle esperienze vissute in Il povero nella città (che sarà pubblicato nel 1949), e nella sua rielaborazione Il deserto e dopo, che vedrà la luce solamente nel 1961. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo della sua fama.
Nel 1936 gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A San Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne Il Dolore del 1947 e in Un Grido e Paesaggi del 1952.
Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma. Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali che in seguito si sarebbero distinti per importanti attività culturali e notevoli carriere accademiche.
Morì a Milano nella notte tra il 1º e il 2 giugno 1970 per broncopolmonite. Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano. È sepolto nel Cimitero del Verano accanto alla moglie Jeanne.

L'Allegria segna un momento chiave della storia della letteratura italiana: Ungaretti coniuga il messaggio formale dei simbolisti (in particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire) con l'esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo che culmina nella poesia Mattina o in Soldati.
In Sentimento del Tempo e nelle opere successive l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle radici della nostra tradizione letteraria) indica l'unica possibilità dell'uomo per salvarsi dall' "universale naufragio".
Il momento più drammatico del cammino di questa vita d'un uomo è sicuramente raccontato ne Il Dolore: la morte in Brasile del figlioletto Antonio, che segna definitivamente il pianto dentro del poeta anche nelle raccolte successive, e che non cesserà più d'accompagnarlo. Solo delle brevi parentesi di luce gli sono consentite, come la passione per la giovanissima poetessa brasiliana Bruna Bianco, o i ricordi d'infanzia ne I Taccuini del Vecchio, o quando rievoca gli sguardi d'universo di Dunja, anziana tata che la madre aveva accolto nella loro casa d'Alessandria
La poesia di Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione del Porto Sepolto. A essa arrisero i favori sia degli intellettuali de La Voce, sia degli amici francesi, da Guillaume Apollinaire ad Aragon, che vi riconobbero la comune matrice simbolista. A riconoscere in Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto i poeti dell'ermetismo, che, all'indomani della pubblicazione del Sentimento del tempo, salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia «pura». Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato, come un impre-scindibile punto di partenza, molti poeti del secondo Novecento.



Ungaretti parla della poesia: http://www.youtube.com/watch?v=LSyeMUhPH64
 

NATALE

Ungaretti scrisse questa poesia durante una licenza che il poeta trascorse a Napoli in casa di amici.
Essa appartiene alla raccolta “Allegria di Naufragi”, apparsa nel 1919 e diventata, nel 1931, “L’Allegria”.

Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare

Napoli, il 26 dicembre 1916

Nel testo traspare la tristezza del poeta che ha ancora in mente le immagini insopportabili della guerra da lui vissuta in prima linea.
La parola crudele e realistica, come le immagini, permetterà di scoprire subito l’intenzione comunicativa dell’autore: l’orrore della guerra, la tremenda disumanità della morte, la rivolta istintiva contro questa esperienza, l’ansia e il desiderio di vita.
Nell'opera di Ungaretti l’evento bellico occupa, infatti, una posizione di piena centralità.

La frammentazione dei versi dà l’idea di un singhiozzo e rimanda ai lettori l’immagine di un animo lacerato da profonde ferite che paiono non volersi rimarginare.
 La stanchezza di cui parla non è solo quella fisica, è soprattutto morale; l’apatia che traspare dai versi è la condizione dell’uomo che soffre e che non ha nemmeno la forza di apprezzare la compagnia consolatoria di persone amiche.
Il tono triste dei primi versi apparentemente contrasta con l’immagine del caminetto, in cui il fumo sembra divertirsi a fare “quattro capriole”, le sole compagne del poeta.
Ma ad una lettura attenta si comprende che nel Natale Ungaretti vede solo un momento di pausa dopo l’agghiacciante esperienza vissuta in trincea, non un periodo di vera distensione dalle sue preoccupazioni.


IL PORTO SEPOLTO

Il titolo, oltre a guidare il lettore alla comprensione del tema, è un tutt'uno con i versi: il verso iniziale, per esempio, si riferisce proprio al porto sepolto, cioè alla meta del viaggio intrapreso da Ungaretti alla ricerca della poesia nella profondità del proprio io, di cui il porto sommerso è simbolo

Mariano il 29 giugno 1916.

Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi canti
E li disperde
Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto.

Il poeta si immerge nell'inconscio e negli abissi della memoria, coglie le improvvise illuminazioni, le riporta alla luce e le consegna ai suoi versi grazie alla magia della parola.
La poesia mediante un'indagine non razionale ma intuitiva può fornire lo strumento di conoscenza per decifrare la verità della vita: questo Ungaretti vuole dirci.
La concezione della poesia come rivelazione dell'ignoto è vicina a quella di Baudelaire.  Allo stesso modo Ungaretti presenta il viaggio del poeta nelle tenebre con il successivo riemergere alla luce: l'immagine del poeta che disperde i canti e il segreto scoperto, riafferma il valore divino della poesia capace di svelare misteri.
Secondo Ungaretti il mistero che è in noi si può esprimere solo con una parola scarna ed essenziale mediante audaci accostamenti analogici. Coerentemente con tali premesse la lirica presenta versi liberi, parole brevi (monosillabi o bisillabi) accentate sulla penultima sillaba, cui si alterna qualche parola più lunga, che alla lettura modifica il ritmo. È assente la punteggiatura e gli spazi bianchi suggeriscono le pause.
L'andamento sintattico è semplice, caratterizzato dall'uso di deittici, cioè di aggettivi dimostrativi, che indicano la lontananza di quel nulla, di quel frammento del segreto dell'esistenza, e la vicinanza di questa poesia creata dal poeta, per illuminare gli uomini. Alcune parole, campo semantico del viaggio, esprimono il ruolo di ricerca del poeta:
* porto è il simbolo dell'inconscio, è l'abisso dell'io e della coscienza, cui egli vuole approdare;
* arriva indica che il poeta coglie le improvvise folgorazioni;
* torna significa che le riporta alla luce.
termini sepolto, nulla, inesauribile segreto rinviano al campo semantico dell'oscurità e del mistero, alla cui ricerca il poeta si dedica, per approdarvi come in un porto di pace. L'ossimoro nulla / d'inesauribile, accostando concetti opposti, sintetizza il messaggio della lirica: la funzione della poesia è comunicare solo un impercettibile frammento (quel nulla) del segreto profondo e inesauribile dell'esistenza umana.



VEGLIA

La poesia “La veglia” parla di una esperienza che il poeta ebbe durante la 1° guerra mondiale, stando tutta la notte vicino al suo compagno morto con la bocca immobile in una smorfia di dolore.


( cima 4 del 23 dicembre 1915 )

Un’intera nottata
buttato vicino
ad un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la gestione
delle sue mani
penetra
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore


Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

PARAFRASI
Un’intera notte gettato vicino ad un compagno massacrato con la sua bocca piena di dolore ed alla luce della luna piena con le mani congelate attaccò il mio silenzio io ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
COMMENTO
Alla luce della luna piena, il cadavere attraverso le sue mani attacca il suo silenzio dove aveva scritto lettere d’amore. Nell’ultimi 2 versi il poeta si mostra che non era stato mai attaccato alla vita. La poesia è costituita da 16 versi distribuiti in 2 strofe: la 1° di 13 versi, la 2° da 3 versi. Lo schema è uno schema libero senza punteggiatura ( come usavano i futuristi ), le parole sono semplici, nella poesia ci sono molti participi passati: buttato – massacrato – digrignata – penetrata ed un avverbio TANTO che Ungaretti usa come una parola molto importante.
La poesia, scritta da Ungaretti il 23 dicembre 1915, appartiene ad una raccolta di poesie chiamata  L’allegria poesie ambientate durante la 1° guerra mondiale scritte sul fronte del Carso. Essa è raccontata in modo triste a causa della situazione difficile che vivevano a quei tempi i soldati arruolati. Ungaretti tratta dunque un tema a lui molto caro, che è quella dell’infelicità dell’uomo.



San Martino del Carso

La lirica San Martino del Carso è stata scritta da Giuseppe Ungaretti il 27 agosto 1916. In essa il poeta descrive il paesaggio che ritrova tornando nel paese che amava tanto: San Martino del Carso.


  Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato »

Di fronte a un villaggio semidistrutto dalla guerra, il poeta richiama alla memoria le figure dei compagni morti combattendo: nessuno manca all'appello del cuore straziato. Le parole di cui la lirica è costituita appartengono al linguaggio comune, ma la loro essenzialità è tale da produrre un effetto di poesia totale, addirittura rarefatta.
La spaventosa realtà della guerra e della morte è espressa mediante un'analogia, le macerie del paese di San Martino diventano il simbolo del cuore del poeta e del suo dolore. Lo strazio per l'orrore della guerra è espresso dalle case, metaforicamente ridotte a qualche brandello di muro. Di tanti soldati uccisi non è rimasto neppure un brandello del corpo, mu tutti sono vivi nell'animo e nel ricordo del poeta.
La parola isolata nel versicolo e la sintassi elementare creano un sistema di parallelismi mediante l'uso insistito dell'iterazione.
Ogni strofa incomincia con una maiuscola, ma per la mancanza di punteggiatura è difficile dire se si tratta dell'inizio di un nuovo periodo o della continuazione del precedente. Le maiuscole funzionano come soli simboli grafici e non sono indicatori di sintassi.
Nella lirica sono presenti due metafore: “nel mio cuore nessuna croce manca” e “brandello di muro” che si riferisce ai corpi mutilati e ridotti a brandelli. L’immagine finale del cuore straziato chiude la lirica in un cerchio di dolore.
Con un numero minimo di parole Ungaretti riesce a descrivere tutta la sua pena e quella di tutto il paese.



Mattina

Si tratta di una delle poesie più famose e semplici di Ungaretti, fu scritta nel 1917 ed è sorprendente poiché con due sole parole, il poeta riesce ad esprimere un concetto di dimensioni non misurabili.

M'illumino
d'immenso

Santa Maria La Longa il 26 Gennaio 1917

Commento
La poesia si presenta formata da una strofa di due versi liberi; da notare che l’ELISIONE fonde in un’unica pronuncia il soggetto con il verbo e l’allitterazione del fonema M contribuisce ad amplificare l’idea dell’immensità.
Il titolo è molto importante poiché il poeta, durante la guerra, una mattina, viene come abbracciato da una luce molto forte e dunque anche da un calore molto intenso proveniente dall’alto, e che illumina lo spazio circostante, ma che soprattutto lo fa risplendere interiormente, riuscendo così quasi a percepire la vastità immensa dell’infinito.
È un momento in cui il finito e l’infinito si uniscono quasi in un unico elemento: non esiste più niente intorno, solo una grande luce che gli origina un momento di intuizione nel quale egli si mette in contatto con l’assoluto, eliminando ciò che lo circonda e riflettendo soltanto sull’avvenimento.
Ungaretti dunque con questa poesia vuole quasi comunicare che l’uomo, pur in situazioni macabre, pur di fronte alle enormi distruzioni ed agli enormi dolori che provoca la guerra, pur avendo scoperto la sua fragilità e la sua precarietà nella vita che gli è stata data, è in grado di cogliere con una grandezza smisurata tutta l’immensità del suo mondo al quale si sente di appartenere.




Soldati
Dall'opera L'Allegria (nella sez. Girovago).
È stata scritta nel 1918, dal poeta soldato in trincea, verso la fine della Grande Guerra nel bosco di Courton, e il suo titolo originario era Militari.

Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie

Commento
Anche se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere la condizione di soldato. La precarietà della vita dei soldati è come quella delle foglie di autunno: con un filo di vento esse possono staccarsi e scomparire, così come può spezzarsi all'improvviso l'esistenza degli uomini e in particolare riferimento alla condizione dei soldati al fronte.
Come in molte altre delle sue liriche, anche in questa il poeta non utilizza alcun tipo di punteggiatura per esprimere un flusso continuo, come se il tempo si fosse fermato. Il componimento riprende una tematica ampiamente utilizzata nel passato poetico: la vita umana paragonata alle foglie è già presente nell'Iliade di Omero, nella poesia latina ed in quella medievale e successiva. È considerata una delle più belle e drammatiche poesie mai scritte.
Il poeta usa la forma impersonale (si sta) in quanto si riferisce a tutti i soldati. L'uso della forma impersonale contribuisce a creare un'atmosfera di universalità, di indefinito e, nello stesso tempo, di immobilità e di fatalità.
Con la preposizione semplice di (d'autunno) si rimane sempre nell'atmosfera di indefinito.
Il non senso, il buio, il terrore, è dovuto a questa profonda e reale incertezza che l'uomo ha da sempre.

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