Giuseppe
Ungaretti (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è
stato un poeta e scrittore italiano.
Giuseppe
Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto,
nel quartiere periferico di Moharrem Bey, l'8 febbraio 1888 da genitori italiani originari di Lucca. Il
padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del
poeta in un incidente sul lavoro, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò
avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al
figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di
Alessandria, la Svizzera École Suisse
Jacot.
L'amore
per la poesia nacque durante questo periodo scolastico e si intensificò grazie
alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche
tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone
provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia
originaria del Sudan, una domestica croata ed una badante argentina.
In
questi anni, attraverso la rivista Mercure
de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie
all'abbonamento a La Voce, alla
letteratura italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di
Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, quest'ultimo grazie
all'amico Moammed Sceab.
Ebbe
anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini. Nel 1906 conobbe Enrico
Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza
della "Baracca Rossa", un deposito di marmi e legname dipinto di
rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti.
Lavorò
per qualche tempo come corrispondente commerciale, ma realizzò alcuni
investimenti sbagliati; si trasferì poi a Parigi
per svolgere gli studi universitari. Nel tragitto vide per la prima volta
l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni la Sorbonne
e il Collège de France. Venuto a contatto con un ambiente artistico
internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia,
e analoga amicizia strinse anche con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo
Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. In Francia Ungaretti
filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e
il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.
Quando
nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna
interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19º reggimento di fanteria,
quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza
scrisse le poesie che vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di
Udine nel 1916, con il titolo Il porto
sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti. Trascorse un breve
periodo a Napoli, nel 1916
(testimoniato da alcune poesie, per esempio Natale).
Nella
primavera del 1918 il reggimento al quale apparteneva Ungaretti andò a
combattere in Francia nella zona di Champagne. Al termine della guerra il poeta
rimase a Parigi dapprima come
corrispondente del giornale Il Popolo
d'Italia, ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata
italiana. Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi La guerre, che sarà poi inserita nella
seconda raccolta di poesie Allegria di
naufragi pubblicata a Firenze nello stesso anno.
Nel
1920 il poeta sposò Jeanne Dupoix, dalla quale avrà due figli, Anna Maria e Antonietto.
Nel
1921 si trasferì a Marino (Roma) e
collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti
segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì
al fascismo firmando il Manifesto degli
intellettuali fascisti nel 1925.
In
questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi e
italiane e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze,
ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale, come il
Premio del Gondoliere. Furono questi anche gli anni della maturazione
dell'opera Sentimento del Tempo.
A
partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del Popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale,
raccogliendo il frutto delle esperienze vissute in Il povero nella città (che sarà pubblicato nel 1949), e nella sua
rielaborazione Il deserto e dopo, che
vedrà la luce solamente nel 1961. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo
della sua fama.
Nel
1936 gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso l'Università
di San Paolo del Brasile, che Ungaretti
accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A San
Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per
un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande
prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne Il Dolore del 1947 e in Un Grido e Paesaggi del 1952.
Nel
1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato professore di letteratura
moderna e contemporanea presso l'Università di Roma. Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali
che in seguito si sarebbero distinti per importanti attività culturali e
notevoli carriere accademiche.
Morì
a Milano nella notte tra il 1º e il 2 giugno 1970 per broncopolmonite. Il 4
giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le
Mura, ma non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del Governo italiano.
È sepolto nel Cimitero del Verano accanto alla moglie Jeanne.
L'Allegria segna un momento chiave della storia della
letteratura italiana: Ungaretti coniuga il messaggio formale dei simbolisti (in
particolare dei versi spezzati e senza punteggiatura dei Calligrammes di
Guillaume Apollinaire) con l'esperienza atroce del male e della morte nella
guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di
ricercare una nuova "armonia" con il cosmo che culmina nella poesia Mattina o in Soldati.
In
Sentimento del Tempo e nelle opere
successive l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle
radici della nostra tradizione letteraria) indica l'unica possibilità dell'uomo
per salvarsi dall' "universale naufragio".
Il
momento più drammatico del cammino di questa vita d'un uomo è sicuramente
raccontato ne Il Dolore: la morte in
Brasile del figlioletto Antonio, che segna definitivamente il pianto dentro del
poeta anche nelle raccolte successive, e che non cesserà più d'accompagnarlo.
Solo delle brevi parentesi di luce gli sono consentite, come la passione per la
giovanissima poetessa brasiliana Bruna Bianco, o i ricordi d'infanzia ne I Taccuini del Vecchio, o quando rievoca
gli sguardi d'universo di Dunja, anziana tata che la madre aveva accolto nella
loro casa d'Alessandria
La
poesia di Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione
del Porto Sepolto. A essa arrisero i
favori sia degli intellettuali de La Voce, sia degli amici francesi, da
Guillaume Apollinaire ad Aragon, che vi riconobbero la comune matrice simbolista.
A riconoscere in Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare
formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono
soprattutto i poeti dell'ermetismo, che, all'indomani della
pubblicazione del Sentimento del tempo,
salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica,
iniziatore della poesia «pura». Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto
una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale,
hanno guardato, come un impre-scindibile punto di partenza, molti poeti del
secondo Novecento.
Ungaretti parla
della poesia: http://www.youtube.com/watch?v=LSyeMUhPH64
NATALE
Ungaretti
scrisse questa poesia durante una licenza che il poeta trascorse a Napoli in
casa di amici.
Essa
appartiene alla raccolta “Allegria di Naufragi”, apparsa nel 1919 e diventata,
nel 1931, “L’Allegria”.
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Napoli, il 26 dicembre 1916
Nel
testo traspare la tristezza del poeta che ha ancora in mente le immagini
insopportabili della guerra da lui vissuta in prima linea.
La
parola crudele e realistica, come le immagini, permetterà di scoprire subito
l’intenzione comunicativa dell’autore: l’orrore della guerra, la tremenda
disumanità della morte, la rivolta istintiva contro questa esperienza, l’ansia
e il desiderio di vita.
Nell'opera
di Ungaretti l’evento bellico occupa, infatti, una posizione di piena
centralità.
La
frammentazione dei versi dà l’idea di un singhiozzo e rimanda ai lettori
l’immagine di un animo lacerato da profonde ferite che paiono non volersi
rimarginare.
La stanchezza di cui parla non è solo quella
fisica, è soprattutto morale; l’apatia che traspare dai versi è la condizione
dell’uomo che soffre e che non ha nemmeno la forza di apprezzare la compagnia
consolatoria di persone amiche.
Il
tono triste dei primi versi apparentemente contrasta con l’immagine del
caminetto, in cui il fumo sembra divertirsi a fare “quattro capriole”, le sole
compagne del poeta.
Ma
ad una lettura attenta si comprende che nel Natale Ungaretti vede solo un
momento di pausa dopo l’agghiacciante esperienza vissuta in trincea, non un
periodo di vera distensione dalle sue preoccupazioni.
IL PORTO SEPOLTO
Il
titolo, oltre a guidare il lettore alla comprensione del tema, è un tutt'uno
con i versi: il verso iniziale, per esempio, si riferisce proprio al porto
sepolto, cioè alla meta del viaggio intrapreso da Ungaretti alla ricerca della
poesia nella profondità del proprio io,
di cui il porto sommerso è simbolo
Mariano il 29 giugno 1916.
Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi
canti
E li disperde
Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto.
Il
poeta si immerge nell'inconscio e
negli abissi della memoria, coglie le improvvise illuminazioni, le riporta alla
luce e le consegna ai suoi versi grazie alla magia della parola.
La
poesia mediante un'indagine non razionale ma intuitiva può fornire lo strumento
di conoscenza per decifrare la verità della vita: questo Ungaretti vuole dirci.
La
concezione della poesia come rivelazione dell'ignoto è vicina a quella di
Baudelaire. Allo stesso modo Ungaretti
presenta il viaggio del poeta nelle tenebre con il successivo riemergere alla
luce: l'immagine del poeta che disperde i canti e il segreto scoperto,
riafferma il valore divino della poesia capace di svelare misteri.
Secondo
Ungaretti il mistero che è in noi si può esprimere solo con una parola scarna
ed essenziale mediante audaci accostamenti analogici. Coerentemente con tali
premesse la lirica presenta versi liberi, parole brevi (monosillabi o
bisillabi) accentate sulla penultima sillaba, cui si alterna qualche parola più
lunga, che alla lettura modifica il ritmo. È assente la punteggiatura e gli
spazi bianchi suggeriscono le pause.
L'andamento
sintattico è semplice, caratterizzato dall'uso di deittici, cioè di aggettivi
dimostrativi, che indicano la lontananza di quel nulla, di quel frammento del
segreto dell'esistenza, e la vicinanza di questa poesia creata dal poeta, per
illuminare gli uomini. Alcune parole, campo semantico del viaggio, esprimono il
ruolo di ricerca del poeta:
*
porto è il simbolo dell'inconscio, è
l'abisso dell'io e della coscienza, cui egli vuole approdare;
*
arriva indica che il poeta coglie le
improvvise folgorazioni;
*
torna significa che le riporta alla
luce.
termini
sepolto, nulla, inesauribile segreto rinviano
al campo semantico dell'oscurità e del mistero, alla cui ricerca il poeta si
dedica, per approdarvi come in un porto di pace. L'ossimoro nulla / d'inesauribile, accostando
concetti opposti, sintetizza il messaggio della lirica: la funzione della
poesia è comunicare solo un impercettibile frammento (quel nulla) del segreto
profondo e inesauribile dell'esistenza umana.
VEGLIA
La
poesia “La veglia” parla di una esperienza che il poeta ebbe durante la 1°
guerra mondiale, stando tutta la notte vicino al suo compagno morto con la
bocca immobile in una smorfia di dolore.
( cima 4 del 23 dicembre 1915 )
Un’intera nottata
buttato vicino
ad un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la gestione
delle sue mani
penetra
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
PARAFRASI
Un’intera
notte gettato vicino ad un compagno massacrato con la sua bocca piena di dolore
ed alla luce della luna piena con le mani congelate attaccò il mio silenzio io
ho scritto lettere piene d’amore. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.
COMMENTO
Alla
luce della luna piena, il cadavere attraverso le sue mani attacca il suo
silenzio dove aveva scritto lettere d’amore. Nell’ultimi 2 versi il poeta si
mostra che non era stato mai attaccato alla vita. La poesia è costituita da 16
versi distribuiti in 2 strofe: la 1° di 13 versi, la 2° da 3 versi. Lo schema è
uno schema libero senza punteggiatura ( come usavano i futuristi ), le parole
sono semplici, nella poesia ci sono molti participi passati: buttato – massacrato – digrignata –
penetrata ed un avverbio TANTO
che Ungaretti usa come una parola molto importante.
La
poesia, scritta da Ungaretti il 23 dicembre 1915, appartiene ad una raccolta di
poesie chiamata L’allegria poesie ambientate durante la 1° guerra mondiale scritte
sul fronte del Carso. Essa è raccontata in modo triste a causa della situazione
difficile che vivevano a quei tempi i soldati arruolati. Ungaretti tratta
dunque un tema a lui molto caro, che è quella dell’infelicità dell’uomo.
San Martino del Carso
La
lirica San Martino del Carso è stata
scritta da Giuseppe Ungaretti il 27 agosto 1916. In essa il poeta descrive il
paesaggio che ritrova tornando nel paese che amava tanto: San Martino del
Carso.
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato »
Di
fronte a un villaggio semidistrutto dalla guerra, il poeta richiama alla
memoria le figure dei compagni morti combattendo: nessuno manca all'appello del
cuore straziato. Le parole di cui la lirica è costituita appartengono al
linguaggio comune, ma la loro essenzialità è tale da produrre un effetto di poesia
totale, addirittura rarefatta.
La
spaventosa realtà della guerra e della morte è espressa mediante un'analogia,
le macerie del paese di San Martino diventano il simbolo del cuore del poeta e
del suo dolore. Lo strazio per l'orrore della guerra è espresso dalle case,
metaforicamente ridotte a qualche brandello di muro. Di tanti soldati uccisi
non è rimasto neppure un brandello del corpo, mu tutti sono vivi nell'animo e
nel ricordo del poeta.
La
parola isolata nel versicolo e la sintassi elementare creano un sistema di
parallelismi mediante l'uso insistito dell'iterazione.
Ogni strofa incomincia
con una maiuscola, ma per la mancanza di punteggiatura è difficile dire se si
tratta dell'inizio di un nuovo periodo o della continuazione del precedente. Le
maiuscole funzionano come soli simboli grafici e non sono indicatori di
sintassi.
Nella
lirica sono presenti due metafore: “nel mio cuore nessuna croce manca” e
“brandello di muro” che si riferisce ai corpi mutilati e ridotti a brandelli.
L’immagine finale del cuore straziato chiude la lirica in un cerchio di dolore.
Con
un numero minimo di parole Ungaretti riesce a descrivere tutta la sua pena e
quella di tutto il paese.
Mattina
Si
tratta di una delle poesie più famose e semplici di Ungaretti, fu scritta nel
1917 ed è sorprendente poiché con due sole parole, il poeta riesce ad esprimere
un concetto di dimensioni non misurabili.
M'illumino
d'immenso
Santa Maria La Longa il 26 Gennaio
1917
Commento
La
poesia si presenta formata da una strofa di due versi liberi; da notare che
l’ELISIONE fonde in un’unica pronuncia il soggetto con il verbo e
l’allitterazione del fonema M contribuisce ad amplificare l’idea
dell’immensità.
Il
titolo è molto importante poiché il poeta, durante la guerra, una mattina,
viene come abbracciato da una luce molto forte e dunque anche da un calore
molto intenso proveniente dall’alto, e che illumina lo spazio circostante, ma
che soprattutto lo fa risplendere interiormente, riuscendo così quasi a
percepire la vastità immensa dell’infinito.
È
un momento in cui il finito e l’infinito si uniscono quasi in un unico
elemento: non esiste più niente intorno, solo una grande luce che gli origina
un momento di intuizione nel quale egli si mette in contatto con l’assoluto,
eliminando ciò che lo circonda e riflettendo soltanto sull’avvenimento.
Ungaretti
dunque con questa poesia vuole quasi comunicare che l’uomo, pur in situazioni
macabre, pur di fronte alle enormi distruzioni ed agli enormi dolori che
provoca la guerra, pur avendo scoperto la sua fragilità e la sua precarietà
nella vita che gli è stata data, è in grado di cogliere con una grandezza
smisurata tutta l’immensità del suo mondo al quale si sente di appartenere.
Soldati
Dall'opera
L'Allegria
(nella sez. Girovago).
È
stata scritta nel 1918,
dal poeta soldato in trincea, verso la fine della Grande Guerra nel bosco di Courton, e il suo titolo originario era Militari.
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Commento
Anche
se la poesia è breve, Ungaretti riesce ad esprimere la condizione di soldato. La
precarietà della vita dei soldati è come quella delle foglie di autunno: con un
filo di vento esse possono staccarsi e scomparire, così come può spezzarsi
all'improvviso l'esistenza degli uomini e in particolare riferimento alla
condizione dei soldati al fronte.
Come
in molte altre delle sue liriche, anche in questa il poeta non utilizza alcun
tipo di punteggiatura per esprimere
un flusso continuo, come se il tempo si fosse fermato. Il componimento riprende
una tematica ampiamente utilizzata nel passato poetico: la vita umana
paragonata alle foglie è già presente
nell'Iliade di Omero, nella poesia latina ed in quella medievale e successiva.
È considerata una delle più belle e drammatiche poesie mai scritte.
Il
poeta usa la forma impersonale (si sta) in quanto si riferisce a tutti i
soldati. L'uso della forma impersonale contribuisce a creare un'atmosfera di
universalità, di indefinito e, nello stesso tempo, di immobilità e di fatalità.
Con
la preposizione semplice di (d'autunno) si rimane sempre nell'atmosfera di
indefinito.
Il
non senso, il buio, il terrore, è dovuto a questa profonda e reale incertezza
che l'uomo ha da sempre.
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