mercoledì 16 gennaio 2013

Italo Svevo



Italo Svevo (pseudonimo di Ettore Schmitz) nasce a Trieste, nel 1861. Nel 1880, a causa di dissesti economici familiari, è costretto ad impiegarsi in una banca, dove lavora per circa un ventennio.
Il 1892 è l’anno in cui esordisce nel romanzo con “Una vita”, che passa totalmente inosservato: sorte non migliore tocca, nel 1898, a “Senilità”. Deluso dall’accoglienza riservata ai suoi scritti,  egli sceglie di chiudersi in un silenzio destinato a durare a lungo.
Nel 1899, dopo il matrimonio con Livia Veneziani, entra come socio nella ditta commerciale del suocero. E’ del 1905 l’inizio della sua frequentazione con James Joyce, che a Trieste vive insegnando l’inglese. Nel 1923 esce “La coscienza di Zeno”, che Joyce fa conoscere all’italianista Valéry Larbaud ed è positivamente recensito nel 1925 da Montale. E’ il preludio al pieno riconoscimento della statura dello scrittore. Nel 1928Svevo muore per un incidente d’auto.
“Un inetto”, avrebbe dovuto essere il primo titolo di “Una vita”: e inetti appaiono i protagonisti dei tre grandi romanzi sveviani. L’Alfonso Nitti di “Una vita”, l’Emilio Brentani di “Senilità”, lo Zeno Cosini de “La coscienza di Zeno” sono, in primo luogo, incapaci ad affrontare la realtà: soprattutto i primi due (ché in Zeno la coscienza della propria inadeguatezza è lucida, egli è in grado di diagnosticare la propria malattia morale ed è consapevole degli artifizi ai quali fa ricorso per sfuggire ad essa) eludono sistematicamente la realtà, ingannano se medesimi per evitare di registrare la propria sconfitta.
Sotto il profilo stilistico, partendo da moduli veristici  e naturalistici (derivanti dai grandi scrittori della tradizione realistica: Balzac, Flaubert, Maupassant), Svevo si sposta progressivamente verso una forma narrativa che - sulla scorta delle intuizioni di Freud, l’opera del quale il Nostro ha ben presente - frantuma i piani temporali e sposta la rappresentazione dalla visione “oggettiva” del narratore a quella “soggettiva” del protagonista.
Non siamo lontani dal “flusso di coscienza” joyciano: ed è proprio questa originalità che fa di Svevo l’autore nostrano che meglio s’inserisce - assieme a Pirandello - nella schiera dei maggiori del ‘900 europeo, tra Joyce e Proust, Musil e Kafka.



Una vita

È il primo romanzo di Italo Svevo.

Il protagonista è Alfonso Nitti, giovane colto che vive in ristrettezze economiche ed è costretto a trasferirsi dall’amato paese natale in città, per lavorare presso la banca Maller. Tormentato dalla nostalgia per la sua terra ed oppresso dal lavoro, Alfonso trova conforto solo nelle visite in casa Maller, soprattutto in virtù dell’amicizia con la figlia del principale, Annetta, che gli propone la stesura di un romanzo a quattro mani e conquista rapidamente il suo cuore. Costretto a separarsi dalla giovane a causa della lunga malattia e successiva morte della madre, al suo ritorno Alfonso scopre con sgomento che Annetta si è fidanzata con il cinico cugino Macario. Sconvolto, egli chiede alla ragazza un ultimo appuntamento, ma al posto di Annetta si presenta il fratello Federico. Sottrattosi al duello, Nitti sceglie come estrema soluzione il suicidio.

Il romanzo, che doveva intitolarsi "Un inetto", è la storia di un uomo solo, scisso dalla società ed incapace di accettarne le regole. Il tentativo di uscire dal proprio isolamento si rivela fallimentare ed evidenzia l'esistenza di un confine invalicabile tra il mondo dell'alta borghesia capitalista e l'universo piccolo borghese. 
Alfonso Nitti è un antieroe che vive continuamente in bilico tra il desiderio di affermarsi, le velleità letterarie, la consapevolezza della propria superiorità rispetto al mondo esterno ed un’innata incapacità ad agire. Ogni tentativo si rivela vano perché Alfonso rimane sempre uguale a se stesso; anche il gesto estremo del suicidio non ha niente d’eroico, rappresentando bensì l’ennesimo compito svolto meccanicamente. 
Negli anni del superuomo di D'Annunzio, Italo Svevo crea un personaggio la cui inettitudine non possiede alcunché di nobile, essendo causa primaria della sua marginalità. La stessa Trieste, che in quegli anni viveva uno straordinario fervore culturale per il suo ruolo di ponte tra mondo latino e Mitteleuropa, si riduce ad una città squallida e grigia, specchio della debolezza del protagonista.


Senilità

“Senilità” racconta la storia di Emilio Brentani, un impiegato trentacinquenne con velleità letterarie, che cerca di sfuggire alla monotonia ed al grigiore della propria esistenza piccolo borghese attraverso un'avventura amorosa con Angiolina, avvenente giovane di estrazione proletaria. Quella che doveva essere una semplice parentesi si trasforma in condanna alla più disperata gelosia, al tormento d'amore a causa dei ripetuti tradimenti della ragazza. Emilio cerca conforto nell'amico Stefano Balli, scultore di successo e gran rubacuori, che diventerà suo antagonista perché la stessa Angiolina finirà con l'innamorarsene e perché travolgerà in una passione intensa ma soffocata per moralismo la sorella Amalia, dolce zitella bruttina.

Emilio Brentani, nevrotico e insicuro, vive la propria esistenza "in difesa", in una condizione di rarefazione senza slanci vitali: di senilità, appunto, con un approccio al mondo filtrato dai libri più che figliato dall'esperienza diretta.
Intellettuale in difficoltà davanti al crollo di valori della borghesia, egli si nasconde dietro una falsa rappresentazione di se stesso per evitare una penosa consapevolezza. Così, idealizza Angiolina Zarri in quanto rappresenta la salute, la potenza dell'eros, la carica vitale, ignorando i limiti d’una personalità rozza, ignorante, insensibile, bugiarda.
Il romanzo, basato sul sapiente uso del discorso libero indiretto che ben rende l’analisi psicologica, è la cronaca interiore della vicenda amorosa di Emilio, dall’incontro con Angiolina fino alla tardiva liberazione; quando, morta la sorella, ormai vittima dell'etilismo, dopo una delirante agonia egli trova il coraggio di lasciare la ragazza, fuggita nel frattempo col cassiere infedele d’una Banca.



La coscienza di Zeno

Pubblicato nel 1923, “La coscienza di Zeno” è un romanzo in prima persona che rompe con tutta la tradizione letteraria italiana: incentrato sull’analisi del subconscio, il racconto è la confessione autobiografica di Zeno Cosini, scritta su consiglio dello psicoterapeuta, il dottor S., il quale - come afferma nella lettera/prefazione del romanzo - decide di pubblicare il memoriale per vendicarsi del paziente che ha interrotto improvvisamente la cura.
Il racconto - narrato entro un tempo "misto", dai confini vaghi - di "tante verità e bugie" lascia spesso il dubbio su quanto corrisponde a realtà e quanto, al contrario, è frutto di fantasiose e consolanti menzogne (Cosini spesso si contraddice).
Spesso è presente il monologo interiore. I fatti non si susseguono cronologicamente, né secondo uno schema lineare: spesso il passato si confonde col presente nell'esposizione frantumata della memoria, attraverso esperienze cruciali che danno il titolo alle sei sezioni del romanzo (Il Fumo, Morte del Padre, Il Matrimonio, Moglie ed Amante, Un’associazione, Psico-Analisi), precedute da una prefazione ed un preambolo in cui il protagonista cerca di far emergere le immagini della prima infanzia. Inetto più maturo rispetto ad Alfonso Nitti ed Emilio Brentani, Zeno ha una dimensione psicologica maggiormente ricca, data dalla consapevolezza lucida della propria malattia morale e del meccanismo di giustificazioni ed alibi cui è solito ricorrere. Così Svevo rappresenta la crisi dell’essere umano - incapace di instaurare un rapporto positivo con la realtà - e demistifica gli inganni della società borghese capitalistica.
Il romanzo rappresenta una rottura con il romanzo tradizionale, è un anti-romanzo.

Giovane incostante ed arrendevole, Zeno passa da una facoltà universitaria all’altra senza mai laurearsi, schiavo del fumo, vizio e malattia che segna tutta la sua esistenza, ultima sigaretta dopo ultima sigaretta.

La conseguente frustrazione ed il conflitto con il padre culminano nello schiaffo inflittogli dal genitore in punto di morte, definitiva ed estrema punizione davanti alla quale il figlio non ha più possibilità di giustificarsi.

Il trauma porta Zeno a cercare una figura paterna sostitutiva, quella di Giovanni Malfenti, abile uomo d’affari che egli adotta come padre-suocero impalmando una delle sue figlie, Augusta, la più brutta di tre sorelle, l’unica che accetta la proposta rifiutata dalle altre.

Pur non avendola mai voluta, Zeno si sorprende ad amarla e a desiderare la sua “salute”; suo malgrado si ritrova, però, coinvolto in una relazione adulterina con la cantante Carla Greco, dimostrazione del proprio inconsapevole diniego a diventare sano.

Antagonista di Zeno è Guido Speier, il cognato che ha sposato l’avvenente Ada, il campione di “salute” destinato, però, al fallimento finanziario ed all’involontario suicidio.

Sarà paradossalmente Zeno, malgrado la sua inettitudine, a recuperare le perdite di Guido giocando in borsa, ma paleserà i propri sentimenti di odio verso il cognato arrivando in ritardo ai suoi funerali e sbagliando, per giunta, corteo funebre.

Nel capitolo conclusivo Zeno, in seguito alla guerra, racconta di sentirsi pienamente guarito grazie ai successi commerciali raggiunti ed alla constatazione che la malattia è condizione d’ogni uomo.

Identificando il progresso umano nella creazione di ordigni - comprese le idee - che impediscono la soddisfazione delle più intime esigenze, auspica un’enorme esplosione che riporti la Terra allo stato di nebulosa e consenta agli uomini di ritrovare l’armonia.



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